“Per quanto riguarda l’obiettivo, posto dall’Organizzazione mondiale della Sanità, di eliminare l’Hcv entro il 2030, l’Italia ha vissuto un periodo in cui era assolutamente in linea visto il grande numero di casi che sono stati avviati verso un trattamento con farmaci ad azione diretta contro il virus dell’epatite C. Si può presumere che 230mila italiani si sono liberati in modo definitivo dal virus, compresi numerosi cirrotici che hanno fermato la progressione di una malattia che li avrebbe potuti portare a un esito infausto”. Così Massimo Galli, ex direttore di Malattie Infettive all’’ospedale Sacco di Milano, ospite al XX Congresso nazionale Simit sulle malattie infettive e tropicali.
La lotta all’epatite C ha avuto però un rallentamento: “Questo è stato certamente un grande risultato, ma nel 2020 e nel 2021 abbiamo avuto un crollo del numero di nuovi casi trattati – spiega Galli – la Covid ha avuto ovviamente le sue responsabilità, ma già prima si era passati da 56mila casi trattati nel 2018 ai 36mila del 2019. Alcune persone che sapevano di avere l’infezione hanno rifiutato la terapia che – ribadisco – essere semplice, per via orale e in grado di debellare in poche settimane un problema molto serio. Molti invece non sanno di avere il problema e per questo sono stati stanziati 71 milioni di euro per attività che permettano di far emergere il sommerso della malattia, ma la Covid ha rallentato anche questa iniziativa”.
Sotto quest’ottica è fondamentale lo screening: “Le iniziative principali sono gestite in autonomia da ricercatori – prosegue Galli –. Io stesso ho promosso delle ricerche che consistevano nell’andare a saggiare territorialmente la prevalenza dell’infezione da Hcv. Abbiamo fatto questo lavoro in 5 Comuni lombardi scoprendo che esiste una piccola minoranza, non trascurabile, di persone che hanno un’infezione attiva e sono loro che bisogna veicolare verso il trattamento per poter rispettare l’obiettivo del 2030 fissato dall’Oms e per poter eliminare il virus da questo Paese”.