(Adnkronos) – Un errore, mortale, scommettere su un Hamas “pragmatico”. L’attacco di sabato scorso in Israele, le atrocità inflitte ai civili, ha segnato la fine del periodo che è stato considerato “l’era pragmatica” di Hamas e l’inizio di un nuovo capitolo buio. Gli osservatori discutono di come il gruppo si sia realmente evoluto negli ultimi dieci anni, mentre ripercorrono la storia di Hamas per comprendere le motivazioni di un attacco così brutale che il gruppo afferma essere stato una risposta alle politiche di Israele contro i palestinesi. Ma per gli analisti una serie di altri fattori hanno influenzato tempi e modi.
Da quando nel 2007 ha preso il controllo della Striscia di Gaza, fermo nel rifiuto del diritto di Israele a esistere come Stato, Hamas – secondo gli analisti – ha compiuto passi apparentemente concilianti, da segnali di sostegno a un cessate il fuoco duraturo all’apertura di contatti informali. Così negli anni alcuni hanno iniziato a parlare di Hamas – emerso nel 1987 all’epoca della Prima intifada – come di un sistema “contenuto”, pur mantenendo lo scetticismo. Hanno iniziato a scommettere su un volto “pragmatico”.
“E’ difficile conciliare questa versione pragmatica di Hamas degli ultimi 15 anni e più con quello che è appena accaduto, che chiuderà la porta a qualsiasi tipo di accoglimento internazionale”, ha sintetizzato Khaled Elgindy, ex consigliere dei negoziatori di pace palestinesi e ora al Middle East Institute di Washington. E gli analisti avvertono di una situazione che resta ‘fluida’ con poche notizie verificate sull’origine dell’attacco, con dubbi se Hamas abbia avuto l’aiuto dell’Iran o di altri nella regione dopo mesi di escalation di violenze che avevano già fatto del 2023 l’anno più sanguinoso per i palestinesi della Cisgiordania (227 palestinesi uccisi da forze israeliane o coloni tra gennaio e settembre e almeno 29 vittime israeliane) da quando venti anni fa l’Onu ha iniziato a tenere il bilancio delle vittime.
Solo la violenza sarebbe stata sufficiente, secondo gli analisti, a far ‘mobilitare’ Hamas. Ma ci sono anche altre considerazioni, a cominciare dallo stato – “decrepito” – della politica palestinese e dalla frustrazione per la corruzione dell’Autorità palestinese, la mancanza di un piano chiaro per raccogliere l’eredità di Mahmoud Abbas (Abu Mazen). La crisi politica interna israeliana è l’altro fattore: Hamas, secondo gli analisti, potrebbe aver percepito un Israele vulnerabile con il governo Netanyahu che ha proseguito a ritmo sostenuto con la costruzione negli insediamenti, promuovendo al contempo una controversa riforma giudiziaria che ha portato decine di migliaia di persone in piazza.
E un altro fattore potrebbe essere stato il processo, sostenuto dagli Usa, per la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Paesi arabi del Golfo, Arabia Saudita in testa. Su Atlantic l’esperto di terrorismo Bruce Hoffman ha invece scritto che l’attacco di sabato è stato “la realizzazione delle vere ambizioni di Hamas” con uno statuto che nel 1988 rivelava “chiaramente l’intenzione genocidaria di Hamas”.
“Hamas non è mai stato la risposta – ha tagliato corto Michael Singh, responsabile per il Medio Oriente del Consiglio di sicurezza nazionale all’epoca dell’Amministrazione George W. Bush e ora al Washington Institute – Il coinvolgimento pragmatico e via dicendo è sempre stato un’illusione e ora lo vedono tutti”.
Due elementi della storia originale di Hamas, la strategia e la pazienza, sono diventati parte di quello che negli anni si è trasformato in un gruppo capace della strage in Israele, con un attacco su più fronti, passati anni da quando Hamas conquistò popolarità tra i palestinesi – anche con programmi per sanità e istruzione – fino ad arrivare nel 2006 al potere politico. In quell’anno, il blocco di Hamas – ‘Cambiamento e riforma’ – vinceva le elezioni legislative. Per poi prendere il controllo della Striscia di Gaza al culmine di una lotta di potere con Fatah. Da allora non sono mancati attacchi di Hamas contro Israele con razzi, colpi di mortaio (e le risposte di Israele).
“Non hanno mai rinunciato ai loro obiettivi militari”, ha detto Gina Ligon, che dal 2008 al 2013 ha studiato la leadership del movimento e ora è a capo di un centro di ricerca sul terrorismo all’Università del Nebraska a Omaha. Hamas, ha sottolineato, si distingue nella regione perché i suoi leader hanno dato importanza all’arruolamento di reclute con abilità militari e competenze tecnologiche. Quindi, “non solo ragazzi disposti a combattere e a morire per la causa”.
E i leader di Hamas, dicono gli osservatori, hanno anche imparato dai passi falsi a livello politico e operativo. A cominciare dall’Egitto dove ha sopravvalutato la capacità dei Fratelli Musulmani di restare al potere dopo la fine dell’era Mubarak e sottostimato le capacità dell’opinione pubblica egiziana. E in Siria Hamas ha perso il suo ‘rifugio’ a Damasco e, sottolineano gli analisti, i finanziamenti dall’Iran quando si schierò al fianco dei manifestanti che all’epoca delle cosiddette Primavere Arabe scesero in piazza contro Bashar al-Assad. Col tempo poi sono stati ‘curati’ i rapporti con l’Iran che oggi è uno dei principali sponsor di Hamas. Un “contenimento fallito” anche perché, secondo gli analisti, persino i funzionari americani avevano sposato l’idea che Hamas fosse in una fase “pragmatica” e anche perché “la maggior parte delle volte la politica israeliana è stata quella di trattare l’Autorità palestinese come un peso e Hamas come una risorsa”, come ha scritto Tal Schneider in un editoriale sul Times of Israel. E Hamas è stato al gioco. “E centinaia di israeliani hanno pagato con la vita”.