(Adnkronos) – “Una notizia che mi ha colpito. E’ un marchio della ‘casa madre’ la pratica di usare veleni non rintracciabili, come accadde, ad esempio, con il polonio nel caso di Litvinenko. Ovviamente non sappiamo ancora se sia vero o meno, ma certo quando si sente parlare di veleno siamo abituati a rivolgerci ad un autore illustre, il Kgb, non certo a un improvvisatore”. Così all’AdnKronos l’ex presidente della Commissione Mitrokhin Paolo Guzzanti su quanto riporta il ‘Wall Street Journal’ a proposito dei “sintomi di sospetto avvelenamento” che avrebbero manifestato l’oligarca russo Roman Abramovich e i negoziatori ucraini dopo un incontro a Kiev nelle settimane scorse.
Guzzanti, dopo aver ricordato anche il caso dell’ex agente dello spionaggio militare russo, “Sergej Skripal, avvelenato insieme alla figlia Julia con il gas nervino Noviciok” a Salisbury, in Inghilterra, osserva: “C’è un fattore che può essere subito verificato, se si tratta di un avvelenamento da parte dei russi, nessun medico sarà in grado di fare una diagnosi, di capire di cosa si tratta, magari si parla di dissenteria o altro, e invece poi arriva la morte. In questo campo gli avversari magistrali dei russi sono gli inglesi, in grado di fare un check attendibile”.
Quanto all’ipotesi che l’avvelenamento di Abramovich e dei negoziatori ucraini possa essere stato messo in atto per sabotare il tentativo di accordo per il cessate il fuoco, Guzzanti chiosa: “Dovremmo avere qualche elemento in più, però potrebbe essere. Loro in genere, ripeto, quando vogliono uccidere lo fanno senza che nessuno sospetti che sia un avvelenamento. L’avvelenamento, insomma, è un costume della casa”.
Infine, sulla possibilità che la notizia, se confermata, possa incidere sullo scenario generale del conflitto, Guzzanti afferma: “Dipende da molti fattori, ad esempio a che punto erano i negoziati, se era stata consolidata una prospettiva e quale, però sì, potrebbe incidere, ma anche in questo caso servirebbero maggiori elementi per valutare”.