(Adnkronos) – “Mi trovo appena sotto Kiev, vicino al ponte tra il paese di Irpin’ e Buca. E’ l’ultimo punto del confine controllato dall’armata ucraina. E’ molto pericoloso. So guidare bene, so sparare bene, conosco bene il territorio ma qui è molto pericoloso, e sì, ho paura, ma faccio tutto quello che sono chiamato a fare con responsabilità”. A dirlo all’Adnkronos, intercettato mentre attende di entrare in azione, è Volodymyr Belei, combattente ucraino di 36 anni e una grande conoscenza del territorio in cui opera. “Si lavora tanto -dice- dormo solo quando sono sereno, e sereno lo sono raramente”.
Attualmente “sto lavorando con gli artificieri, li accompagno e li riporto, la mia esperienza sul territorio è una risorsa preziosa in questo momento”, spiega. Volodymyr sottolinea di non poter rivelare troppi dettagli per motivi di sicurezza, ma racconta: “Oggi abbiamo capito che verso l’autostrada non c’è più il nemico ma ci siamo accorti che hanno lasciato molte cose dietro di loro, le mine, le bombe i proiettili, e stiamo provvedendo”. Difficile descrivere le emozioni che si incrociano dentro un giovane uomo che sta combattendo al fronte, che sono tante e complesse, ma Volodymir ci prova. “Ho paura, cerco di vivere questo momento in modo responsabile e aiutare dove c’è bisogno di me -rivela- Sto cercando di dare il mio supporto alle persone che stanno avendo momento di panico, ma mi sembra di vivere una terribile serie tv dell’orrore, e spero solo che questa non sia la prima stagione della serie”.
Sul campo “non sono aggressivo -sottolinea- ma non mi dispiace di aver ucciso quelle persone nel momento e nella posizione in cui mi sono trovato a doverlo fare”. Su questa guerra, osserva: “Non credo che la geopolitica sia così piatta e lineare come la rappresentano. Putin è lontano, non ho nulla da dire a lui. Provo però molta rabbia nei confronti di chi mi sta sparando”. Cosa prova quando è obbligato a uccidere? Volodymir fa una lunga pausa. “Paura”, dice poi.
Il giovane ucraino appartiene alla Guardia Territoriale, non è in forza all’armata militare ma ha dovuto imbracciare le armi, come avviene in questi casi e come gli è già accaduto altre volte. “Ci sono tre tipi di persone che collaborano alla difesa sul campo -dice all’Adnkronos- I primi sono militari, il secondo è la polizia, il terzo gruppo sono le persone come me che fanno parte della guardia territoriale”. All’inizio “per questo gruppo bastava un passaporto per arruolarsi -spiega- ma poi ci sono stati dei brogli, dei tentativi di infiltrazione di persone arrivate qualche mese prima solo per inserirsi nell’organico e questo comportava molti rischi. Adesso quindi è possibile inserirsi in questi gruppi solo avendo esperienza militare e referenze da parte di qualcuno che ti porta all’interno”.
E descrivendo lo stato d’animo della città, tra i suoi conoscenti, tra la gente che incontra, Volodymyr racconta: “Ci sono state scene di panico, ma adesso qui ci sono solo persone che non sono soggette al panico, sono rimaste solo quelle che hanno forte pilastro interiore. Gli altri sono scappati, o si sono rifugiati”. Quello che stiamo intervistando non è solo un combattente coraggioso, è anche un giovane uomo che teme per la sua famiglia. Prima che il collegamento si interrompa bruscamente, facciamo in tempo a domandargli della sua famiglia. “Se la mia famiglia è al sicuro? Nessuno può dirsi al sicuro in questo momento -dice- Mia madre e mia sorella sono in un rifugio, ma dire che siamo sereni non è possibile”.
(di Ilaria Floris)