Inizierà il 23 febbraio prossimo presso il tribunale di Brescia il processo d’appello contro Green Hill, la tristemente nota azienda che nel 2012 venne condannata con l’accusa di maltrattamento e uccisione di animali e quindi chiusa.
Il procedimento, giunto quindi al secondo grado di giudizio, riprenderà dalla sentenza di condanna inflitta in primo grado nel gennaio dello scorso anno e che la Lav, Lega anti vivisezione, definì storica e memorabile, “destinata a fare giurisprudenza”. Nell’occasione le pene comminate furono di un anno e sei mesi a Renzo Graziosi, veterinario dell’allevamento e a Ghislane Rondot, co-gestore, mentre per il direttore Roberto Bravi, fu di 12 mesi più le spese di risarcimento. Venne invece assolto Bernard Gotti, anchegli co-gestore.
Ad avere un ruolo centrale nella vicenda fu proprio lassociazione animalista, tra i primi a condannare gli abusi subiti dai cani rinchiusi nello stabilimento di Montichiari (Brescia) e destinati alla sperimentazione scientifica, nonché a esporsi in prima persona durante i giorni che seguirono la loro liberazione.
È ancora la Lav, però, che in vista dellappello è tornata a far sentire la sua voce, richiamando lattenzione sul pericolo che si nasconde dietro questa seconda parte di processo. Stando a quanto dichiarato, il rischio a cui si potrebbe andare incontro è che, in caso di esito favorevole e quindi di un clamoroso ribaltamento della precedente sentenza, l’azienda possa chiedere la restituzione dei cani, molti dei quali ormai adottati da diverse famiglie. La situazione preoccupa gli animalisti poiché nonostante Green Hill “per legge in Italia non potrà riaprire visto che il Decreto Legislativo 26/2014 ha finalmente vietato l’allevamento di cani a fini sperimentali, potrebbe pretenderne la restituzione e portarli fuori dai nostri confini nazionali”.
Al fine di mobilitare l’opinione pubblica e garantire la giusta “pressione” affinché la sentenza di primo grado venga confermata, la Lav ha lanciato l’hashtag #IOSTOCONIBEAGLE e invitato tutti gli interessati a recarsi davanti al tribunale di Brescia il giorno in cui inizierà il processo. Pur dicendosi fiduciosa nella giustizia, la Lega anti vivisezione teme per il futuro che potrebbe attenderebbe i beagle. Un timore giustificato se si considera che tra il 2008 e il 2012 furono più di 6000 i cani uccisi nell’allevamento.
“Come si può legittimare la restituzione di cani a chi usava segatura scadente per le lettiere, causa di diversi decessi per soffocamento di circa 104 cuccioli, nonostante i dipendenti abbiano sempre negato? Come sarebbe possibile giustificare la pratica di ammansire i cani appendendoli ad unimbracatura per fargli perdere ogni cognizione sensoriale o affidarsi a personale dipendente che ha avuto lagghiacciante spudoratezza di farsi fotografare con un beagle morto e il cervello di fuori, in posa sorridente e con il dito medio alzato?”. Si chiude così il comunicato della Lav, ricordando a tutti i motivi per cui l’azienda è già stata condannata e per cui sarebbe impossibile non farlo nuovamente.
Luca Crosti