Governo, per le pensioni si parte da quota 102 flessibile: cosa significa

(Adnkronos) – Il dossier pensioni è uno tra i primi da aprire per il nuovo governo Meloni. Perché in assenza di un intervento, dal 1 gennaio 2023, si tornerebbe alla Legge Fornero. Una prospettiva che né il premier Giorgia Meloni né le forze della maggioranza possono permettersi di esplorare, non solo perché impopolare ma anche perché è necessario trovare un equilibrio corretto tra età pensionabile e produzione di nuovi posti di lavoro.  

Il punto di partenza non possono che essere le ultime norme in vigore, quelle che scadono il 31 dicembre: Quota 102, Opzione donna e Ape sociale. Quota 102 è stata la soluzione individuata dal governo Draghi, con una sperimentazione annuale, per superare i tre anni di quota 100, misura di bandiera della Lega ai tempi del governo giallo-verde. Fissa i requisiti del pensionamento anticipato a 64 anni d’età e 38 di contributi. Opzione donna permette di andare in pensione con 58 anni (59 per le lavoratrici autonome) e 35 anni di contributi, raggiunti nel 2021. L’Ape sociale è un’indennità che consente, in attesa di maturare il requisito di vecchiaia, di uscire dal lavoro a 63 anni e, a seconda dei casi, 30 o 36 anni di versamenti.  

La soluzione che sembra più percorribile, a oggi, è una correzione di quota 102 che la renda ‘flessibile’. La neo ministro del lavoro, Marina Calderone, non si è ovviamente ancora espressa. Ma un’ipotesi concreta, la stessa che la Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, che fino a ieri guidava proprio Calderone, prevede il pensionamento tra i 61 e i 66 anni, con almeno 35 anni di contributi, purché la somma faccia comunque 102.  

Per questo si parla di un quota 102 ‘flessibile’. Finora si andava in pensione solo con 64 anni più 38 di contributi, nella nuova versione sarebbe possibile anche con tutte le combinazioni fra 61 e 66 anni di età e fra 35 e 41 anni di contributi. Sarebbe una soluzione in grado di garantire una soluzione, di scongiurare il ritorno alla legge Fornero e di non compromettere l’equilibrio dei conti pubblici. Sicuramente più onerosa l’altra ipotesi di cui si discute, sostenuta dalla Lega, di prevedere l’uscita con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età, o con 62 anni, a prescindere dagli anni di contributi. La discussione deve ancora entrare nel merito ma il tempo stringe.