(Adnkronos) – “Suona come una grave sconvenienza politica il solo parlare di elezioni anticipate. Una mancanza di bon ton istituzionale e forse addirittura una sorta di cinica indifferenza di fronte alla drammaticità del momento e alle grandi sfide che il paese sta attraversando: la coda della pandemia, la gestione del Pnrr e più di tutto la guerra in Ucraina. Quasi che il solo evocare le urne prima del tempo volesse dire esibire al mondo il peggio della politica italiana: la sua rissosità, la sua inconcludenza, quel suo perenne rintanarsi in se stessa e nei suoi giochi.
E infatti, di elezioni non parla nessuno dei protagonisti, e quasi nessuno degli osservatori. E chi ne parla, lo fa per esorcizzare un fantasma o per stigmatizzare un malvezzo. Neppure quei partiti che forse -forse- ne potrebbero ricavare un beneficio osano più invocare l’anticipo delle urne come una ragionevole possibilità di uscita dal nostro collettivo bailamme.
Resta da capire se a questo modo si stia allungando la legislatura fino alla sua scadenza dell’anno prossimo. O piuttosto invece si stia solo allungando la campagna elettorale fino a farla durare una dozzina di mesi in più del dovuto.
Il punto è che la litigiosità che pervade l’attuale amplissima maggioranza di governo si dilata ormai a dismisura, ed è facile prevedere che troverà altri pretesti e occasioni per espandersi ancora di più. La cronaca di questi giorni registra per l’appunto il crescente malumore del M5S verso il premier all’indomani delle sue severe critiche al bonus del 110 per cento per le ristrutturazioni edilizie. Ancora, il malumore dello stesso M5S per le armi che s’è deciso (anche con il loro voto) di inviare in Ucraina. E poi, la disputa tra il sindaco Gualtieri e i grillini di cui sopra a proposito del termovalorizzatore che dovrebbe essere installato nella capitale. Tutto questo, solo nelle ultime ore.
C’è poi, quel che più conta, un sordo conflitto tra le due anime della nostra politica estera. Quella più allineata alla fedeltà occidentale, e quella più propensa a cercare sponde dalla parte opposta. Conflitto che vede Conte e Salvini, ognuno a modo suo, sulla stessa lunghezza d’onda. E viceversa Draghi e il Pd dal lato opposto. Sullo sfondo, gradi diversi di europeismo e modi diversi di sciogliere i nodi più intricati. Per non dire, infine, del tira e molla sulle misure economiche. Laddove il centrodestra ritrova la sua identità sventolando la bandiera delle tasse da abbattere (con quali risorse, resta da capire) e il centrosinistra a sua volta si prodiga come può a favore del lavoro da proteggere nel bel mezzo della crisi globale.
L’impressione insomma è che la campagne elettorale sia già in pieno svolgimento. E che la premura di difendere la sacralità della legislatura, stiracchiandola fino all’ultimo giorno utile, somigli più a un rito stanco che a una vigorosa iniziativa in difesa del buon nome del nostro paese. Il fatto è che i partiti si radunano ormai con crescente fatica intorno al tavolo tondo di Palazzo Chigi. E lo stesso premier adempie con una discreta dose di scetticismo ai suoi doveri di direttore d’orchestra. Lasciando che i nodi più ingarbugliati restino lì, senza che li si possa tagliare con l’accetta e neppure cercare di sciogliere con la pazienza certosina.
In questo contesto lasciare le cose come stanno diventa fatalmente la più semplice delle soluzioni. Si rinvia, si aspetta, si nasconde un po’ di polvere sotto il tappeto. Per il resto si fa il proprio dovere -ma con un grado di stanchezza che appare inversamente proporzionale alla convinzione che vi si profonde. Alla fine si potrà dire che la legislatura è arrivata in orario alla sua conclusione. E cioè, è durata cinque anni producendo le più fantasiose (e anche le più scombiccherate) formule di governo. Ma alla fine, nella consunzione di una formula dopo l’altra, di un’illusione dopo l’altra, di uno stratagemma dopo l’altro, ci si è ritrovati al punto di prima. O quasi.
Siamo proprio sicuri che altri dieci mesi così siano la cosa migliore che ci può capitare?”
(di Marco Follini)