(Adnkronos) – “Giorgia Meloni si giocherà il destino sulla giustizia, o sul federalismo, o sul presidenzialismo. Non su tutti e tre, sfida che sarebbe titanica e azzardata. E neppure sull’economia e sulla immigrazione, laddove le scelte sono pressoché obbligate e non differiscono più di tanto da quelle che farebbero governi di altro colore politico. Sarà invece su uno dei grandi dossier appena aperti e squadernati che la nuova destra cercherà di lasciare il segno.
Ora, è evidente che ognuno di questi dossier implica un alto rischio. In materia di giustizia abbiamo appena visto alzarsi le barricate delle opposizioni e della magistratura al solo annuncio delle bellicose intenzioni del ministro Nordio. Sono anni, del resto, che l’argomento è più che controverso (per usare un eufemismo), e perfino Berlusconi ha preferito piccole e tristissime misure ad hoc al rischio di una sfida in campo aperto sui grandi princìpi. Quei princìpi che nella visione ad ampio spettro del nuovo ministro spaziano dalla separazione delle carriere alla riforma delle intercettazioni fino alla fine dell’obbligatorietà dell’azione penale. In una parola, più una rivoluzione che una riforma.
Sul federalismo, pudicamente ribattezzato autonomia differenziata, le cose non sembrano molto più agevoli. Infatti, mancano i soldi per far contenti tutti, i governatori del nord che reclamano più risorse e quelli del sud che temono di perderne. Oltretutto non sono stati ancora definiti i lep, cioè i livelli essenziali di prestazione, quei decisivi parametri dei diritti e delle possibilità che sono connessi al varo di questa spericolata innovazione. E dunque è facile prevedere che il percorso risulterà meno veloce e soprattutto meno disinvolto di come lo immagina il volenteroso ministro Calderoli.
Sul presidenzialismo, infine, Meloni farà sventolare la sua bandiera di principio. Ma è ovvio che decidere di imboccare davvero quel percorso significherebbe disporsi a un combattimento in campo aperto con le opposizioni, e a una rotta di collisione più implicita e nascosta ma forse non meno dirompente con il Quirinale dei nostri giorni. Possibile che la premier cerchi di aprirsi una strada. Possibile, ma improbabile. Altamente improbabile.
Dunque, ognuno di questi dossier minaccia di rendere assai più accidentata la navigazione del governo. E vi sono buone ragioni per consigliare una certa cautela su tutti questi fronti. Ma è del pari evidente che senza una “grande” riforma la maggioranza alla lunga risulterebbe costretta a una navigazione di basso profilo, in mezzo a difficoltà economiche che non sembrano destinate a sollevare il morale. Come a dire che se azzarda, rischia per eccesso. Ma se rinuncia a ogni azzardo, rischia per difetto. E neppure quest’ultimo sarebbe un rischio da sottovalutare.
Così, è facile che a un certo punto della legislatura Meloni decida di puntare le sue fiches su uno di questi progetti per dare un senso alla propria azione di governo. Ed è probabile che quello di Nordio finirà per rivelarsi il meno proibitivo. Sia perché è un tema che non divide più di tanto la maggioranza al suo interno. Sia perché le consente di far leva su una parte piccola ma non piccolissima dell’opposizione. Sia infine perché è possibile che esso incontri consensi di opinione pubblica non meno convinti dei dissensi convintissimi che in questi primi giorni non hanno tardato a manifestarsi.
Certo, a quel punto si tratterebbe per Meloni anche di aggiornare se stessa e una sua atavica, ancestrale idea di destra. Laddove restano tracce residue di un giustizialismo che sul finire della prima repubblica animarono le rumorose piazze del Msi. Argomenti e stati d’animo che la premier non ha avuto il tempo di cavalcare troppo vistosamente ma che ogni tanto sembrano riaffiorare dalle brume di un passato non così lontano fino al punto che lei se ne sia del tutto dimenticata.
In ogni caso, la cruna dell’ago sarà molto molto stretta”.
(di Marco Follini)