La giunta che lo scorso 18 agosto ha preso il potere in Mali ha proposto una transizione di tre anni sotto la guida di un militare. A riferirlo sono fonti dell’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, dopo due giorni di trattative (ancora in corso) con i golpisti. Solo un’ipotesi, per il momento, ma la giunta militare si è detta pronta a liberare il presidente spodestato, Ibrahim Bubacar Keita, arrestato insieme al primo ministro, Boubou Cissè, durante il colpo di Stato.
Leggi anche: Golpe in Mali, cosa sta succedendo
Martedì scorso il presidente Keita aveva annunciato le sue dimissioni e lo scioglimento del Governo e del Parlamento poco dopo esser stato arrestato da un gruppo di militari ammutinati. “Una caduta frutto del crescente malcontento della popolazione”, spiega il giornalista Andrea De Georgio sulla rivista Internazionale, e da una “profonda crisi socio-economica”.
Keita, nonostante sia stato democraticamente eletto nel 2013, è accusato di corruzione e nepotismo anche dalla popolazione, in particolare dai giovani, che dal 5 giugno chiedevano le sue dimissioni.
A gettare benzina sul fuoco, poi, ci sono stati i ritardi nei pagamenti dei soldati e la destituzione di un comandante di Kati, il campo militare da dove è partita la ribellione. Secondo alcuni esperti (e gran parte della comunità internazionale, che ha già condannato duramente il golpe), il Paese rischia di ripiombare nel caos come otto anni fa, quando il colpo di Stato del 2012 consentì ai jihadisti di Al Qaeda di occupare gran parte del Nord del Paese.
Ma, si legge sempre sull’Internazionale, questa volta “le menti dietro al golpe del 18 agosto sono un generale e quattro colonnelli, figure rispettate dalla popolazione”. Ed è proprio “l’inusuale allineamento” tra posizioni golpiste dei militari e parte dell’opinione pubblica a creare una diversa prospettiva futura.
Per il momento, la giunta militare ha detto di voler agire nell’interesse pubblico e di voler restituire il potere nelle mani dei civili. L’ombra della Turchia, però, da tempo con gli occhi puntati sulla regione, irrita la comunità internazionale (in particolare la Francia) e fa pensare alla longa manus di una superpotenza straniera dietro ai fatti di Bamako. Ma, per ora, si tratta solo di legittime congetture geopolitiche.
Mario Bonito