(Adnkronos) –
Gianni Rivera uno dei miti del calcio italiano, l’uomo che realizzò il gol del 4-3 nei tempi supplementari della sfida infinita fra Italia e Germania Ovest ai Mondiali di Messico ’70, taglia il traguardo degli 80 anni. L”Abatino’ – questo era il soprannome che gli attribuì Gianni Brera – ci arriva in splendida forma e con tante soddisfazioni raccolte nella sua carriera sia con la maglia del Milan che con quella della Nazionale, conquistando tre scudetti, due Coppe dei Campioni, una Intercontinentale, un Europeo (l’unico finora vinto dall’Italia) e un Pallone d’Oro.
Nato ad Alessandria il 18 agosto 1943, mosse i primi passi nel calcio professionistico proprio con la maglia dei grigi, esordendo in Serie A a nemmeno 16 anni compiuti. Era evidente che avesse qualità tecniche non indifferenti, tanto che addirittura fu scelto dal c.t. dell’Italia di allora Nereo Rocco per partecipare all’Olimpiade di Roma del 1960, alla fine della quale venne insignito del premio di miglior giovane del torneo. Già nel giro del Milan su segnalazione di Gipo Viani, fu riscattato immediatamente dalla società rossonera, pronto per una epopea da sogno che durerà fino al 1979.
Nonostante un avvio complicato per alcuni scetticismi sull’età e sul ruolo che si rivelarono ingiustificati, Rivera fu decisivo per lo scudetto del 1962 per il suo gioco offensivo elegante ed efficiente, poi la definitiva consacrazione con le prime convocazioni in nazionale maggiore e il successo nella Coppa Campioni del 1963 in rimonta contro il Benfica. Quell’anno sfiorò anche il Pallone d’Oro che arriverà 6 anni dopo.
Ben dodici le stagioni da capitano del Milan, tra critiche per alcuni trionfi mancati intorno alla metà degli anni ’60 dominiati dalla grande Inter e l’exploit dal 1968 in avanti, grazie all’intesa con giocatori del calibro di Sormani, Hamrin e Prati, vincendo uno scudetto a scapito di Napoli e Juventus e un’altra Coppa dei Campioni con un netto 4-1 all’Ajax, mostrando ancora una volta di essere un numero dieci geniale, dall’estro inconfondibile e straordinario. Lui, diverso da qualsiasi altro talento italiano e stimato anche dai più grandi eroi dell’epoca come Pelé. Il Pallone d’Oro del 1969 fu l’apice della sua carriera, poi molti secondi posti, qualche dissidio con alcuni allenatori, l’ultimo titolo del 1979 con Liedholm in panchina e il ritiro al termine dello stesso campionato.
Rivera è stato uno dei primi calciatori della storia del calcio italiano a saper reggere i confronti con la stampa e con la critica in generale. Meglio davanti alla difesa, trequartista o seconda punta? Accusato a volte di correre poco e di essere troppo “elegante” nelle giocate – da qui il soprannome di “Abatino” -, è stato in grado di zittire chiunque con assist e gol a raffica. Perfino nel controverso Mondiale di Messico ’70 ha lasciato il segno nonostante il dualismo con l’interista Sandro Mazzola e gli attriti con il c.t. Valcareggi e la Federazione, senza dimenticare l’Europeo vinto in patria due anni prima.