(Adnkronos) – “L’onere epidemiologico e finanziario” della malattia renale cronica “aumenterà per l’Italia dal 2021 al 2026, in assenza di diagnosi precoce e accesso precoce alle terapie efficaci, del 10,8%. Credo che questo sia un dato che debba far riflettere i decisori perché è conseguenza logica della progressione della malattia, dei danni e disabilità”. Così Francesco Saverio Mennini, professore di Microeconomia ed Economia Sanitaria, Università di Roma Tor Vergata, Presidente della Società italiana di Health Technology Assessment (Sihta) nella Giornata mondiale del rene, che si celebra il 9 marzo.
La malattia renale cronica “è una patologia molto debilitante e progressiva – spiega Mennini all’Adnkronos Salute – Si stima che a livello globale abbia una prevalenza intorno al 10%. Può influenzare molto la qualità della vita soprattutto per l’aumento del rischio di eventi cardiovascolari, per la necessità di terapie sostitutive renali (Rrt) e la mortalità prematura. La gestione della malattia è quindi collegata a costi e oneri importanti per il Servizio sanitario nazionale”.
“Riuscire a capire cosa potrà a avvenire in futuro in assenza o presenza di un accesso precoce a terapie che si stanno dimostrando molto efficaci – sia in termini di riduzione della prevalenza, della progressione e dei costi – è un esercizio importante e fondamentale – aggiunge il professore – per informare o decisori sulle possibili conseguenze di una mancata diagnosi precoce e presa in carico precoce di questa malattia. In quest’ottica, nel 2021 è stato realizzato uno studio (Inside Ckd, ndr) che ha coinvolto 11 Paesi dove, con un modello di microsimulazione, abbiamo cercato di comprendere gli incrementi annuali dal 2021 al 2026 dei pazienti con malattia renale cronica. Abbiamo monitorato, età prevalenza e progressione della malattia”.
I risultati mostrano, che, “per il 2026, il totale dei casi di insufficienza renale cronica aumenterà notevolmente – continua Mennini – Per l’onere epidemiologico la prevalenza è introno all’11% e varia dal 6,6% dell’Italia fino al 18,8%. La spesa aumenta tra 2,4-7,5% della spesa sanitaria nazionale. Per l’Italia attualmente si era introno ai 4,6 miliardi, 3,2% della spesa sanitaria annuale. Per tutti gli 11 Paesi del modello, dal punto di vista dell’onore previsto nel 2026, se lo stato attuale resta immutato, si prevede un aumento della prevalenza delle Rrt tra 2 e 4%: per l’Italia si va fino al 9.8%”. Questo valore è particolarmente importante perchè già nel 2021 “l’emodialisi ha costituito la maggior parte delle 3 modalità di Rrt che va a impattare sui costi”. Restando in tema di costi, l’onere economico per il modello prevede che “i costi sociali aumenteranno tra 2021 e 26, per l’Italia, fino all’11%: una crescita molto importante. Nel 2026 – sottolinea l’esperto – si prevede che i pazienti con Rrt saranno tra 2,3 e 7,7% della popolazione diagnosticata e i costi rappresenteranno il 19% del totale della spesa che, per l’Italia, è del 50%, un incremento dei costi superiore rispetto agli altri Paesi”. In generale, i costi nel 2026 varranno “tra 3% e 9% della spesa sanitaria totale e arriveranno al 4% in Italia, ancora in una crescita molto preoccupante rispetto all’attuale”.
In sintesi, “l’onere epidemiologico e finanziario aumenterà per l’Italia dal 2021 al 26, in assenza di diagnosi precoce e accesso precoce alle terapie efficaci, del 10,8% – ribadisce Mennini – Credo che questo sia un dato che debba far riflettere i decisori perché è conseguenza logica della progressione della malattia, dei danni e disabilità. Inoltre, il numero di pazienti che ricevono Rrt, pur essendo inferiore alle popolazioni pre-Rrt, contribuisce in modo elevatissimo all’onere economico”.
Lo studio evidenzia quindi “la necessità, per il nostro Paese, di politiche mirate a incentivare la diagnosi precoce e interventi atti a rallentare la progressione della malattia renale per ridurre, da una parte l’onere clinico e migliorare la qualità di vita dei cittadini e, dall’altra, a ridurre l’impatto dei costi. Le misure di politica sanitaria che potrebbero e dovrebbero implementarsi – ricorda il professore – sarebbero un beneficio per i pazienti mediante diagnosi, presa in carico precoce, appropriatezza dei trattamenti e acceso precoce ai trattamenti accompagnati anche da un’integrazione ospedale-territorio-domicilio, come previsto dal Pnrr, per ridurre l’impatto socioeconomico e sanitario che si verrebbe a verificare – conclude Mennini – in assenza di questi interventi”.