(Adnkronos) – Non ci sono le prove, almeno non ancora. Ma l’ipotesi che il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream sia un’azione russa alimenta la tesi che quella di Mosca sia un’accurata strategia della tensione sul gas, per far tornare a salire il prezzo e continuare a mettere pressione all’Europa in vista dell’inverno. L’obiettivo è almeno parzialmente centrato visto lo strappo delle quotazioni sopra i 200 megawattora, con una chiusura a 186 megawattora, al mercato di Amsterdam.
“Tre eventi di questo tipo non succedono in un giorno, è chiaro che si tratta di un atto di sabotaggio”, sintetizza all’Adnkronos Simone Tagliapietra, senior fellow del think tank bruxellese Bruegel, parlando delle tre esplosioni che hanno danneggiato le due infrastrutture nel mar Baltico, intorno all’isola danese di Bornholm. E diventa difficile ipotizzare che il sabotaggio sia opera di altri. Nonostante il consueto rimpallo di responsabilità che si innescherà, non ha dubbi il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak: “Le fuoriuscite di gas dal Nord Stream altro non sono che un attacco terroristico pianificato dalla Russia e un atto di aggressione contro la Ue”.
Le perdite di gas, anche se dai due gasdotti già non stavano passando le forniture, hanno sicuramente un forte valore simbolico. Da una parte, possono essere una leva per far pagare più cara una merce che sta diventando sempre meno indispensabile, vista la decisa corsa dei Paesi europei verso l’indipendenza dalla Russia. Dall’altra, possono rappresentare la volontà di innescare un’escalation che, dopo la mobilitazione parziale che ha innescato fughe di massa e i referendum farsa nelle zone occupate del Donbass, torna a utilizzare anche le armi economiche. Questa volta chiudendo definitivamente i rubinetti.
Un segnale che può essere letto in due direzioni. Un atto disperato, vista l’estrema debolezza di Putin, che vede compromessa la guerra in Ucraina sul piano militare e che deve fronteggiare una situazione interna sempre più complicata dalle sanzioni internazionali e da un calo del consenso che rischia di superare i livelli di guardia. In questo caso, si tratterebbe di una ritorsione in una fase di ripiegamento. Oppure, al contrario, il tentativo di alzare la posta per preparare un contrattacco sia sul piano militare sia su quello economico, confidando nella possibilità che sia il fronte occidentale a cedere. In questo caso, sarebbe un atto di sfida che prepara altre mosse.
In un caso e nell’altro, il dato certo riguarda le ripercussioni per i Paesi europei in vista dell’inverno. Si devono preparare a fare a meno del gas russo e, se non vogliono o non riescono a intervenire con un tetto al prezzo del gas, devono trovare un modo, possibilmente condiviso a livello europeo, di sterilizzare le conseguenze per le famiglie e per le imprese. (di Fabio Insenga)