(Adnkronos) – “Ho lasciato l’Italia perché avevo l’ambizione di fare una ricerca ‘avventurosa’, di non farmi limitare da quello che era disponibile in un determinato centro. Sono andata a cercarmi la strumentazione e le conoscenze che mi servivano per rispondere a certe domande biologiche. Onestamente non pensavo sarei mai rientrata, se non in fase di pensionamento, nella mia Toscana. Poi è venuta fuori la storia dello Human Technopole. All’estero si diceva che l’Italia aveva finalmente investito risorse considerevoli per far partire un istituto di ricerca internazionale, con l’ambizione di attrarre più nazionalità possibile e con un budget adeguato per poter acquisire tecnologie, mantenerle nel tempo, e assumere persone con competenze adatte. Uno scienziato aveva lasciato la Germania per guidare la nuova realtà, Iain Mattaj. Mi sono fidata, ho fatto domanda”. Comincia così l’avventura di Gaia Pigino nel polo operativo che sorge nell’area che ha ospitato l’Expo 2015 a Milano. Uno dei suoi tanti ‘nuovi inizi’, per lei che 18enne ha dovuto lasciare una carriera da agonista nella scherma, interrotta dal diabete.
Classe 1976, una laurea in Scienze naturali all’università di Siena, ateneo dove ha svolto anche un dottorato ed è stata assegnista di ricerca postdoc, non nasconde le ‘fatiche’ di un cervello fuggito all’estero e rientrato, ma allo stesso tempo ammette di aver sofferto quando ha deciso di fare il grande salto e lasciare l’Italia, la famiglia, la sua Siena e la contrada della Torre dove è cresciuta. “Ma ho dato priorità alla ricerca”, dice all’Adnkronos Salute. Oggi è Associate Head del Centro di Biologia strutturale di Human Technopole (Ht).
“Il problema non è la fuga, ma il mancato rientro dei talenti”
E al ministro della Salute Orazio Schillaci, che ritiene che arrestare l’emorragia dei nostri migliori cervelli sia l’investimento migliore che possiamo fare e un traguardo che non possiamo fallire, suggerirebbe “di continuare a sponsorizzare la ricerca in modo tale che le posizioni in Italia siano attraenti per ricercatori che vengono dall’estero, siano essi italiani di ritorno o ricercatori internazionali che vengono da altri Paesi”. Per fare questo, osserva, “c’è bisogno di supporto economico adeguato, ma anche duraturo nel tempo. Un exploit di 5 anni vale poco per chi fa ricerca. Specie quando c’è da installare tecnologie che richiedono tempo per farle funzionare”. L’altra cosa è “la chiarezza e la trasparenza nei processi di selezione e di attribuzione dei fondi, come i grant. Ma anche l’indipendenza dei giovani: più schiacciata è la gerarchia e più l’ente che fa ricerca oggi è apprezzato a livello internazionale. Perché chi ha talento vuole essere indipendente”.
Quando si parla di cervelli in fuga, Pigino precisa che il problema non è tanto vederli andare via. “Siamo tutti un po’ girovaghi, non solo gli italiani lasciano il loro Paese per esperienze all’estero. L’internazionalità è un pre-requisito per fare ricerca ad alto livello. Nei concorsi per posizioni o nelle valutazioni per i grant si guarda anche a quanto si sono spostate le persone, perché apre la mente”. Il problema dell’Italia è che, “se tu vai via da giovane perché ti vuoi fare l’esperienza fuori, poi è difficile rientrare in una posizione che riflette le capacità che hai acquisito. C’è poco scambio e mobilità, poca flessibilità nel sistema. Dovremmo essere in grado sia di riportare cervelli italiani andati fuori, che aumentare l’internazionalità del nostro sistema accademico e di ricerca”.
Il fattore internazionale
Oggi all’Ht Pigino condivide la direzione del Centro di Biologia strutturale con Alessandro Vannini, anche lui cervello rientrato da Londra. Ci sono 5 gruppi di ricerca. “Nel mio laboratorio lavorano giovani che vengono da Italia, Usa, Uk, Spagna, Pakistan, Olanda, India e Svizzera – elenca – Età: da 24 a 35 anni. La scommessa dell’istituto è far sì che si possa coltivare un afflusso di menti giovani, forti e con tanto talento da tutto il mondo. La condivisione di tutte queste culture diverse è il punto di forza. Abbiamo 3 group leader che sono alla loro prima esperienza indipendente: Ana Casañal è spagnola, Francesca Coscia è italiana ed entrambe arrivano da un’esperienza in Uk (Mrc-Laboratory of Molecular Biology, Cambridge), e Philipp Erdmann prima è andato negli Usa, poi è tornato in Germania (al Max Plank Institute for Biochemistry di Martinsried) e ora è qui in Italia”.
Anni prima, inseguendo il suo sogno scientifico, Pigino ha fatto tappa prima al Politecnico (Eth) di Zurigo, dopo 4 anni è approdata al Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda dove ha vinto una posizione da group leader e ha fatto partire un laboratorio portando conoscenze e tecnologie. Il suo valore aggiunto? L’esperienza sulla “crio-tomografia – spiega – una tecnica di microscopia che permette di guardare a complessi di proteine nel contesto della cellula a livello molecolare, ad alta risoluzione. A Dresda ho avuto un budget e un gruppo di 6 persone e ho potuto avviare il mio filone di ricerca legato alla biologia delle ciglia, organelli cruciali” che sono come ‘antenne’ e si trovano “nelle cellule eucariote”. Ecco “cosa viene offerto all’estero a una persona di 30 anni che ha deciso di muoversi e imparare cose nuove. Forse in Italia è più difficile vedere tutto questo, un po’ perché ci sono poche risorse, ma anche per motivi legati al processo accademico”.
Dopo 9 anni a Dresda, Pigino accetta la sfida del rientro in Italia, dove arriva nel 2021 in base all’accordo con Ht siglato nel 2020. Sfida in salsa tricolore accettata anche dal marito, austriaco, computational biologist. “Un pizzico di patriottismo – sorride – ha pesato nella mia scelta: se tutto quello che ho imparato posso portarlo in Italia e contribuire a farla diventare un riferimento per questo tipo di ricerca, mi rende orgogliosa. E poi da national facility abbiamo anche la possibilità di condividere la tecnologia col mondo accademico italiano e dare la possibilità a giovani ricercatori volenterosi di poter diventare anche loro competenti su questo fronte”.
La sfida di ripartire da zero in patria
Un bilancio dei primi anni post rientro? “E’ stato tutto molto faticoso, si lavora tanto e si dorme poco. Un po’ me l’aspettavo perché far partire un istituto con queste ambizioni da zero non è facile in nessun posto – assicura – In Italia forse ci sono delle cose che, con l’aiuto dei ministri competenti, potremo ottimizzare nel futuro per far sì che non ci sia un handicap di tipo burocratico per questo istituto rispetto ad altri simili nel mondo. Ci sono dei processi abbastanza lunghi, fatti per evitare corruzioni e dispendi di risorse, ma gli scienziati sono già ‘strutturati’ per spendere in maniera oculata le poche risorse che hanno. Anche all’estero. Snellire questi processi renderebbe la nostra vita un po’ meno complicata e permetterebbe di focalizzarci ancora di più sulla ricerca”.
Pigino, in ogni caso, non si scoraggia di fronte alle difficoltà essendo abituata a ricominciare da zero. Nella sua vita da sportiva è stata nella nazionale giovanile di scherma per 5 anni, carriera a cui ha dovuto dire addio a un passo dalla prima esperienza olimpica. Poi l’amore per la scienza. “Forse è anche per questo che mi sono buttata anima e corpo – dice – la scienza mi ha salvato la vita”. Con la stessa determinazione, all’Ht la scienziata ha già raccolto i primi frutti. Col suo team ha potuto fare il suo ingresso nel laboratorio a settembre-ottobre 2021 “e ad agosto 2022 abbiamo sottoposto alla rivista ‘Nature Structural & Molecular Biology’ un articolo interamente sviluppato allo Human Technopole”, che è stato pubblicato a gennaio 2023. “Per noi è stato eccezionale perché in tempi record, grazie alla facility di microscopia elettronica che già funziona in maniera perfetta, siamo riusciti a ottenere dati di una qualità che non riuscivamo a raggiungere nemmeno a Dresda”.