A 20 anni di distanza, tornare con la memoria al G8 di Genova del 2001 non è affatto un gioco per Vincenzo Canterini, l’ex comandante del Reparto mobile di Roma che fece irruzione alla scuola Diaz. Anzi, dice all’AdnKronos, “è una cicatrice che si riapre, che mi costringe a ripensare al processo, durato quel che è durato”.
Per quei fatti, Canterini è stato condannato a 3 anni e 3 mesi. “Ho sempre gridato ai quattro venti la mia innocenza e quella dei miei uomini – si sfoga -, io alla scuola Diaz mi ci sono ritrovato perché mi ci hanno mandato, ma in quella scuola, contemporaneamente, sono arrivati 200 o 300 poliziotti con la pettorina che nemmeno conoscevo. La ‘macelleria messicana’ è a loro che si riferisce, a quegli agenti che non ho mai capito perché fossero lì, non si sapeva nemmeno chi fossero. I miei, come risulta agli atti, sono stati dentro all’edificio meno di cinque minuti. Quando sono entrato, per ultimo, e ho visto quello che stava succedendo, e questo risulta anche da tutti i filmati, ho tirato subito fuori i miei uomini dalla Diaz spostandoli in cortile. Sono scolpiti per sempre in me lo sconcerto e l’indignazione per quello che, insieme a Fournier, dovemmo constatare al nostro ingresso, soccorrendo una ragazza gravemente ferita alla testa. Non è così che si mette in sicurezza un luogo, quello era il frutto di uno sfogo di qualcuno non addestrato, buttato nell’arena senza istruzioni e che ha dato indebitamente sfogo alla frustrazione di giorni”.
“Non è questo – prosegue – ciò a cui erano istruiti i ragazzi del Settimo nucleo. Per questo, per la chiarezza che doveva farsi, ci siamo subito messi a disposizione, dando, unici, la compiuta identificazione di tutti i nostri partecipanti alla operazione. E per questo ci siamo messi a disposizione del procuratore di Genova Lalla, più ancora che del Corpo, gravato da una coltre di imbarazzo di cui siamo stati purtroppo vittime. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ormai parlare del G8 è inutile, bisognerebbe solo leggere gli atti processuali”.
E’ quasi rassegnato Canterini quando lo dice, ma poi, con tono deciso, aggiunge: “Guardate le foto dei miei uomini nei giorni precedenti alla Diaz, quelle in cui sono ritratti mentre soccorrono con le loro maschere antigas i manifestanti a terra. Non ci si trasforma improvvisamente da dottor Jekyll a mister Hyde. Noi eravamo professionisti dell’ordine pubblico, i miei uomini erano scelti con rigidi criteri psicologici, e l’hanno dimostrato in quei giorni, prima della Diaz. Sapevano che un dimostrante a terra non si tocca, questo era il criterio dei miei. Come si può pensare che siano stati loro ad aver fatto una cosa del genere?”.
Subito dopo, però, Canterini si sofferma anche su un aspetto che, nel corso degli anni, è stato dimenticato: “Genova in quei giorni fu messa a ferro e fuoco – rammenta l’ex comandante del Reparto mobile –, e fu fatto con una preparazione da parte degli ‘antagonisti’ che è durata mesi prima di Genova, e si è visto nei giorni della rivolta. Erano organizzatissimi. I black bloc di fatto sono nati lì. Ricordo gli enormi cortei e le migliaia di manifestanti pacifici e tranquilli, che però involontariamente li proteggevano”.
A vent’anni di distanza, dopo che la sua vita è stata stravolta da quei fatti, Canterini, se potesse incontrare le vittime della Diaz, quelle decine di persone massacrate in quella scuola, domanderebbe forse molte cose, ma una in particolare: “Vorrei che tornassero per un minuto a quei terribili minuti per ricordare se coloro che li massacrarono di botte indossavano la divisa o la pettorina, se eravamo noi o erano altri. E’ questo che vorrei chiedergli. Perché noi siamo innocenti”. Giustizia, dunque, non è stata fatta? “Quarantaquattro anni di polizia terminati con una condanna a 3 anni e 3 mesi. Cosa potrei rispondere?”.