(Adnkronos) – “L’avvento di due giovani donne ai vertici dei due principali partiti rinnova un’antica questione: quella del modo in cui le nuove generazioni influenzano la politica dei grandi. Di quanto vi siano interessate, di come la possano cambiare. Soprattutto di come ci si possa parlare, a cavallo tra una stagione e l’altra della vita.
S’intende che né Meloni né Schlein sono due novelline, uscite da poco dai banchi del liceo. E che il loro è pur sempre un contesto di partito, laddove si incrociano generazioni diverse. Resta il fatto che una delle ragioni del loro successo è legata anche alla speranza che nuove figure possano gettare un ponte verso quell’universo giovanile che una volta era al centro della disputa politica e che poi, col tempo, se ne è progressivamente distanziato.
Sul finire degli anni sessanta la protesta studentesca, divampata nelle università, si era estesa per cerchi concentrici, fino a improntare di sé i discorsi dei partiti dell’epoca. La sinistra confidava nelle nuove generazioni per risalire la china elettorale e sfrattare la Dc dal governo. E il mondo cattolico, a suo volta, generava una gran quantità di iniziative mirate a risvegliare la coscienza anche politica della propria parte. Anche negli anni successivi il protagonismo dei più giovani tenne sulla corda il sistema politico. Fino alle proteste di Genova, tanto per ricordare l’ultimo episodio di conflitto generazionale appena pochi anni fa.
Di lì in poi è come se la “questione” generazionale (frase da vecchi, lo ammeto) avesse lasciato il posto ad altre urgenze. E la disputa politica avesse preso a svolgersi lungo altri crinali. Mescolando giovani e meno giovani un po’ alla rinfusa e senza che il fattore anagrafico dovesse contare più di tanto. Come se il rinnovamento della politica si trovasse a quel punto a seguire altre strade rispetto a quelle del consueto (e polemico) avvicendarsi delle generazioni.
La cosiddetta “generazione Z” si trova oggi largamente ai margini della politica e quasi disinteressata ai suoi esiti. E così, anche la politica più attenta e sensibile sembra afona, incapace di guardare al futuro parlandone con quanti di quel futuro si apprestano a diventare i padroni. Come se l’indifferenza avesse inavvertitamente preso il posto dei dialoghi polemici e concitati degli anni passati.
Il fatto è che è diventato sempre più difficile per i più grandi decifrare sentimenti e stati d’animo dei loro figli e nipoti. Già, perché le generazioni che si erano affacciate sulla scena pubblica fino agli ultimi anni del secolo scorso erano state temprate da due circostanze: il carattere espansivo delle moderne società democratiche e un certo grado di fiducia nelle possibilità politiche di cambiare le cose. Erano finiti gli anni gloriosi del benessere del dopoguerra. Ma erano rimaste le speranze più ottimistiche che quegli anni avevano lasciato in eredità. E prima fra tutte, l’idea che la politica fosse pur sempre lo strumento più efficace per cambiare le cose.
Ora sembra invece affacciarsi sulla scena una leva di ragazze e ragazzi ben più scettici su queste possibilità. Figli del ripiegamento della nostra epoca, delle sue minori chances di sviluppo e benessere, di quel clima di sfiducia che ci attraversa da un po’ di tempo a questa parte. Ragazzi e ragazzi che hanno archiviato l’idea del posto fisso e anche quella di un degno e rassicurante trattamento previdenziale. E che riversano sulla sfera politica questo drammatico accorciamento delle loro possibilità di sicurezza e di benessere.
Così, mentre una volta anche partiti e leader ballavano al ritmo della musica intonata dalle nuove generazioni, oggi sembra essersi prodotta una frattura quasi irrimediabile tra i più giovani e il circuito della politica. E’ diminuita la fiducia, come s’è detto. Ma è diminuita di pari passo anche la curiosità verso la sfera pubblica. Come se non valesse più la pena di dedicare tempo ed energia, o anche solo un briciolo di attenzione, ai dilemmi che attraversano la vita di palazzi lontani e ormai poco interessanti. Ancorché decisivi, oggi come allora.
Ora, non è affatto detto che l’età più giovanile delle due leader del momento sia destinata a gettare un solido ponte tra due rive così lontane. Di mezzo, c’è l’esigenza (e la fatica, soprattutto) di ripristinare un minimo di comunicazione tra due mondi che hanno smesso di parlarsi e tanto più di capirsi. Impresa tutt’altro che facile. Che però varrebbe la pena almeno di tentare. La mia generazione ha avuto la fortuna di disporre di maestri attenti e curiosi, che guardavano verso di noi con una straordinaria capacità di ascolto. La nuova generazione parte da più lontano, e non è detto che arrivi a farsi prendere nella giusta considerazione. Ma se Meloni e Schlein -forti anche della loro età, non troppo attempata- e tutti gli altri e le altre, si chineranno su questo mondo con curiosità, pazienza e senza pregiudizio ne potrà venir fuori qualcosa di buono per la nostra tribolata democrazia”. (di Marco Follini)