Cala l’evasione fiscale. Sebbene siano dati ancora parziali, secondo il tax gap elaborato dal ministero dell’Economia e delle Finanze , nel 2019 (ultima annualità disponibile), l’evasione fiscale presente nel nostro Paese sarebbe scesa a 80,6 miliardi di euro. Se utilizziamo la stessa metodologia di calcolo anche per gli anni precedenti, negli ultimi 5 anni gli 007 del fisco hanno “recuperato” ben 13 miliardi di euro. A calcolarlo è l’Ufficio studi della Cgia. Pur non potendo contare ancora su almeno 80 miliardi di euro di tasse ogni anno, l’Amministrazione finanziaria italiana sembra essere riuscita, sottolinea l’associazione, a trovare la strada giusta per combattere efficacemente questa piaga sociale ed economica che da sempre caratterizza negativamente il nostro Paese.
Tra la compliance fiscale , lo split payment e, a partire dal 2019, per mezzo della fatturazione elettronica, una serie di contribuenti – tra cui gli evasori incalliti, chi riceveva i pagamenti dallo Stato per un servizio o una prestazione lavorativa resa e poi non versava l’Iva e, infine, i professionisti delle cosiddette “frodi carosello” – sono stati indotti a ravvedersi. Non solo; anche il leggero calo delle tasse registrato in questi ultimi anni ha sicuramente avuto un effetto positivo sul fronte delle entrate. Sebbene sia ancora del tutto insufficiente, la contrazione della pressione fiscale ha contribuito a ridurre l’evasione, soprattutto quella che in gergo viene chiamata di “sopravvivenza”.
Per la Cgia, “se riusciremo a contrastare con maggiore incisività l’economia sommersa, faremo pagare le tasse anche ai colossi dell’e-commerce presenti nel nostro Paese, riusciremo a incrociare in maniera efficace le 161 banche dati fiscali che possiede l’Amministrazione finanziaria e e, infine, assisteremo a una seria riforma del fisco che tagli strutturalmente il peso delle tasse su tutti i contribuenti, non è da escludere che nel giro dei prossimi 4/5 anni l’evasione fiscale presente in Italia potrebbe addirittura ridursi della metà, allineandosi così al dato medio europeo. Ovvio che ci vuole il concorso di tutti e se molti contribuenti hanno cominciato a comportarsi correttamente nei confronti del fisco è anche perché negli ultimi anni chi è stato chiamato a spendere i soldi pubblici ha finalmente cominciato a farlo con oculatezza. Certo, gli sprechi e gli sperperi ci sono ancora, ci mancherebbe, tuttavia l’evasione si contrasta anche razionalizzando la spesa pubblica”.
A seguito della discussione politica introdotta con la riforma dell’Irpef, dal mondo sindacale, ma anche da alcuni “tecnici” , si è tornati a sostenere che l’imposta sul reddito delle persone fisiche sarebbe pagata per quasi il 90 per cento da pensionati e lavoratori dipendenti. “Ci permettiamo di ribadire che questa affermazione è del tutto fuorviante, perché sottende che in Italia a pagare la quasi totalità dell’Irpef sarebbero solo due categorie di contribuenti: quelle richiamate poc’anzi. In realtà chi continua a ripetere questa ovvietà è “vittima” di un grave abbaglio statistico/interpretativo. Se, infatti, è palese – argomenta la Cgia – che oltre l’82 per cento dell’Irpef (e non il 90 per cento) è versata all’erario da pensionati e lavoratori dipendenti, questo avviene perché queste 2 categorie rappresentano quasi l’89 per cento del totale dei contribuenti Irpef presenti in Italia”.
Secondo l’associazione degli artigiani di Mestre, “se si vuole dimostrare lo squilibrio del carico fiscale legato all’Irpef, la metodologia “corretta” consiste nel calcolare l’importo medio versato da ciascun contribuente facente parte di ognuna delle 3 principali tipologie che pagano l’imposta sulle persone fisiche: autonomi, dipendenti e pensionati. Applicando questa metodica, dagli ultimi dati disponibili sui redditi relativi al 2018 (fonte Ministero dell’Economia e delle Finanze), emerge che, mediamente, i pensionati pagano un’Irpef netta annua di 3.173 euro, i lavoratori dipendenti di 4.006 euro e gli imprenditori/lavoratori autonomi di 5.741 euro. Sia chiaro, l’evasione fiscale in Italia c’è ed è presente in tutte le categorie professionali, quindi, anche tra gli autonomi e gli imprenditori. Pertanto, va contrastata ovunque essa si annidi, senza però accusare pregiudizialmente nessuno, tantomeno attraverso l’interpretazione scorretta di dati molto parziali”.