La fibrillazione atriale, la più comune tra le aritmie cardiache, causa declino cognitivo e demenza, anche in assenza di eventi clinici evidenti, come il classico ictus cerebrale. E’ il risultato di un studio appena pubblicato su Europace, rivista scientifica internazionale di aritmologia cardiaca, ed è diventata la prima notizia della Newsletter della Società Europea di Cardiologia.
La ricerca è stata condotta da un gruppo multidisciplinare composto da cardiologi e ricercatori dell’ospedale Molinette della Città della Salute e dell’Università di Torino, Matteo Anselmino, Andrea Saglietto, Daniela Canova, e da un team di ingegneri del Politecnico di Torino Luca Ridolfi e Stefania Scarsoglio, e ha permesso di studiare per la prima volta nell’uomo gli effetti esercitati dalla fibrillazione atriale sul flusso sanguigno nei piccoli vasi cerebrali.
Mediante l’utilizzo di una metodica nota come spettroscopia quasi infrarossa (Nirs), infatti, piccole sonde applicate sulla cute della fronte del paziente consentono di ottenere informazioni sul flusso sanguigno a livello del cervello. Gli studi sono stati svolti su circa 50 pazienti con fibrillazione atriale afferenti alla Cardiologia universitaria dell’ospedale Molinette ed hanno permesso di dimostrare come in corso di aritmia si generino transitorie ma ripetute alterazioni del flusso a livello del microcircolo cerebrale.
Crediamo che queste transitorie riduzioni critiche dell’afflusso di sangue al cervello contribuiscano a lungo termine alla genesi della demenza e più in generale al deficit cognitivo associato alla fibrillazione atriale”- sottolinea il direttore della Cardiologia universitaria delle Molinette, Gaetano Maria De Ferrari – e’ importante evidenziare come le alterazioni della circolazione cerebrale registrate dalla Nirs in corso di fibrillazione atriale tendano a scomparire al ripristino del normale ritmo cardiaco tramite una cardioversione elettrica”
“Oggi possiamo offrire ai pazienti con fibrillazione atriale una tecnica molto efficace nel mantenere il ritmo sinusale a lungo termine, come l’ablazione transcatetere – aggiunge Anselmino – ed abbiamo pertanto in programma di valutare se con questo approccio sia possibile ridurre il declino cognitivo in questa popolazione di pazienti”.