FEMMINICIDI, BABY GANG E I DOVERI DEI MAGISTRATI: MAMMONE APRE L’ANNO GIUDIZIARIO

    Affrontando l’urgenza rappresentata da diversi fenomeni che negli ultimi tempi stanno purtroppo affollando le pagine di cronaca dei media, intervenendo in occasione dell’apertura dell’Anno giudiziario, Giovanni Mammone, Primo presidente della Cassazione, ha dedicato parte della sua prima relazione alla violenza alle donne, al fenomeno delle baby gang, e sull’abuso dei social network. Mammone, esordisce con le violente e ripugnanti gesta delle bande minorili, definendo “allarmante il fenomeno, pur limitato numericamente, delle aggressioni violente e immotivate messe in atto da giovanissimi ai danni di coetanei. Si tratta di vicende che impegnano non solo la polizia giudiziaria ma anche gli organi di giustizia minorile, i servizi sociali ed altri enti incaricati della tutela delle vittime”. Quindi il Primo presidente di Piazza Cavour ha affrontato il delicato ed ugualmente drammatico tema della violenza contro le donne: “Di notevole allarme sociale è il fenomeno del cosiddetto femminicidio, che è indice della persistente situazione di vulnerabilità della donna e di una tendenza a risolvere la crisi dei rapporti interpersonali attraverso la violenza”. Quindi Mammone ha tenuto a segnalare “l’aumento del numero dei procedimenti per reati contro la libertà sessuale e per atteggiamenti persecutori verso il partner (stalking), nonché l’allarmante fenomeno delle aggressioni violente e immotivate messe in atto da giovanissimi ai danni di coetanei. Si tratta di vicende che non solo impegnano la polizia giudiziaria e la magistratura, ma che coinvolgono le famiglie, i servizi sociali e gli altri enti incaricati della tutela delle vittime. A fronte del moltiplicarsi dei fenomeni di esplosione incontrollata di aggressività la risposta esclusivamente repressiva si rivela inefficace”. Quindi il numero uno della Cassazione ha lanciato un appello in merito, in quanto “la materia nel suo complesso, per il suo preoccupante sviluppo, è meritevole di una considerazione legislativa unificante, che superi la parcellizzazione dei comportamenti sul piano della tutela penale, la quale dà luogo sovente a fattispecie di reato obiettivamente minori, perché punite con pene di modesta entità”. Come dicevamo, altra ’new entry’ in negativo nel nostro tessuto sociale, è quella rappresentata dall’abuso e dall’uso indiscriminato dei social network: “L’abuso dei mezzi di comunicazione e degli strumenti di partecipazione sociale messi a disposizione dalla rete – illustra nella sua relazione – costituisce un fenomeno crescente e preoccupante. Da un lato è violato il diritto della collettività ad essere informata in maniera corretta, dall’altro sono messi in moto meccanismi a diffusione sociale delle notizie che possono arrecare, anche inconsapevolmente, danno a soggetti terzi”. Nell’indicare una possibile via d’uscita, Mammone osserva che “Il fenomeno può essere contrastato validamente, oltre che con le tradizionali forma di tutela giudiziaria, con la prevenzione, contrastando l’abuso prima che si realizzi il danno. Deve pertanto aumentare la consapevolezza degli utenti circa i pericoli della disinformazione e deve incrementarsi mediante un appropriato monitoraggio la conoscenza delle fonti di abuso”. Stesso discorso per le frodi informatiche: “perpetrate attraverso l’abusivo accesso a sistemi di rete degli istituti di credito”. Poi il Primo presidente, virando all’interno del ’sistema giustizia’, non può non sottolineare la quantità “abnorme” di ricorsi che ’occupano’ la Cassazione: “permane la criticità costituita dalla quantità dei nuovi ricorsi – sia civili che penali – che vengono iscritti ogni anno; quantità veramente abnorme per una Corte che è deputata a realizzare ’l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge’ – afferma rammaricandosene – il cui intervento dovrebbe essere caratterizzato dall’importanza delle questioni trattate e dal rigore nomofilattico delle sue pronunzie e non dall’esigenza di esaurire gli imponenti numeri del contenzioso di carattere routinario”. Infine, legittimo, un forte richiamo all’indirizzo dei magistrati, invitandoli alla moderazione e al senso della misura anche con i media: “Il vivere sociale impone ai magistrati precisi obblighi deontologici di misura e moderatezza, necessari per preservare la loro immagine di terzietà, non solo nell’ambito istituzionale, ma anche nella vita privata e nei rapporti con i mezzi di comunicazione. L’autonomia e l’indipendenza – conclude la relazione – si deve affermarlo con chiarezza, sono beni che appartengono alla collettività, prima ancora che all’individuo-magistrato”.
    M.