(Adnkronos) – “Dal 2017 la terapia con glecaprevir/pibrentesvir è disponibile per il trattamento contro l’epatite C. Inizialmente aveva una durata di 8/16 settimane. Nell’ultimo anno, invece, sono stati generati due studi che dimostrano che utilizzando un trattamento breve di 8 settimane anche nel paziente con malattia grave, ovvero nelle persone con cirrosi epatica, siamo in grado di ottenere più del 95-97% di guarigione definitiva. Disponibile in Italia per tutti i malati con infezione Hcv da ormai 5 anni, la novità sta nel fatto che la terapia breve è efficace anche nel paziente con malattia grave. Un risultato che, invece, che non era ancora stato codificato fino a qualche mese fa”. Così Alessio Aghemo, professore ordinario di Gastroenterologia all’Università Humanitas di Rozzano e segretario dell’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf), fa il punto su sicurezza e benefici della terapia breve di glecaprevir/pibrentesvir nella pratica clinica contro l’infezione Hcv, terapia oggetto di diversi studi scientifici presentati in occasione di Easl 2022.
“Il primo è uno studio europeo, denominato ‘Crest’ – spiega Aghemo – nel quale anche l’Italia ha avuto un ruolo di leadership, che ha coinvolto più di 400 pazienti con malattia avanzata. Tutti hanno ricevuto la terapia breve di 8 settimane. Risultato? Il 98% dei pazienti è guarito, senza manifestare alcun effetto collaterale”.
Il secondo studio “è una ricerca asiatica che ha esaminato circa 800 pazienti – prosegue il gastroenterologo –. Anche in questo caso i pazienti con malattia avanzata grave hanno ricevuto per la durata di 8 settimane la terapia combinata glecaprevir/pibrentesvir contro l’infezione Hcv. Ancora una volta non è stato riscontrato alcun effetto collaterale e il tasso di guarigione è stato del 95%. Un dato, questo, che rafforza quanto scritto nelle linee guida italiane e europee, ovvero che la terapia breve di 8 settimane con i due farmaci anche nei pazienti con malattia avanzata sono lo standard di cura”.
Questi due farmaci, “come tutti i farmaci per l’epatite C, non danno effetti collaterali – rimarca Aghemo -. I tassi di effetti collaterali gravi sono sostanzialmente lo 0%, il numero delle persone che deve sospendere il trattamento per effetti indesiderati è tra lo 0 e l’1%, praticamente nessuno. In Italia abbiamo trattato con gli antivirali più di 200mila persone con tassi di guarigione altissimi e tassi di sospensione per effetti collaterali vicini allo zero”.
L’epatite cronica da virus C (Hcv), è una malattia che, in virtù della sua cronicità, provoca un processo che va spontaneamente avanti nel tempo fino a compromettere strutturalmente e funzionalmente il fegato. Si stima che in Italia ci siano circa 300.000 pazienti diagnosticati con Epatite C e un numero imprecisato di persone inconsapevoli di aver contratto l’infezione, per un totale stimato che va oltre il milione di persone.
“Nonostante il processo di lotta all’Hcv abbia raggiunto livelli sorprendenti, resta il problema del sommerso. In Italia uno dei problemi che abbiamo è il fatto che molte persone non sono a conoscenza della malattia – conferma il presidente di Aisf – perché l’epatite C non dà sintomi. Si stima che i pazienti affetti da Epatite C siano 300mila, per questo motivo sono in corso iniziative di vario genere per coinvolgere anche chi ignora di essere affetto da questa patologia o chi la sottovaluta, tra cui una campagna nazionale di screening per identificare persone senza sintomi e senza la malattia perché siamo consapevoli che molti italiani ignorino di essere affetti dalla patologia”.
Tra i pazienti con Epatite C, molti sono tossicodipendenti, che rientrano nella categoria “Pwid”, ovvero popolazione che fa uso di droghe. “Gli antivirali, e tra questi la combinazione glecaprevir/pibrentesvir, sono farmaci che possono essere utilizzati praticamente in tutti i pazienti con infezione Hcv – sottolinea Aghemo – . Non ci sono controindicazioni in chi fa uso di sostanze in maniera attiva, sta prendendo metadone o altri farmaci. Questo trattamento è lo standard di cura anche per questa tipologia di persone. In occasione di Easl 2022 sono stati mostrati tanti dati e modelli. Siamo venuti a conoscenza di trattamenti con antivirali in setting non italiani con pazienti problematici: senza fissa dimora, ai margini della società e tossicodipendenti, raggiunti con unità mobili. Anche in questi casi sono stati riscontrati margini di guarigione praticamente uguali a quelli che otteniamo nelle persone seguite in ospedale, dallo specialista, perché sono farmaci incredibilmente efficaci, semplici e sicuri da assumere”.
Infine, sul l’epatite C che l’Organizzazione mondiale della Sanità vorrebbe debellare entro il 2030, Aghemo non ha dubbi: “L’Italia può farcela. È tra i dieci Paesi al mondo, insieme a Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Australia, Georgia, Finlandia, Islanda e Nuova Zelanda, che ha buone chance di raggiungere questo obiettivo. Sarebbe un grande successo, a differenza degli Stati Uniti che forse riusciranno nell’intento nel 2050” conclude.