(Adnkronos) – “Uno studio condotto all’ospedale di Pisa mostra che in pazienti ricoverati con polmonite da Covid, l’uso precoce di remdesivir – che come gli altri antivirali è efficace anche nelle varianti tipo Omicron – entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi, abbassa del 51% il rischio di una evoluzione grave e potenzialmente letale della malattia”. Così Marco Falcone, professore ordinario di Malattie infettive all’Università di Pisa e segretario della Simit, la Società italiana di Malattie infettive e tropicali, parlando dello studio, di cui è capofila, a margine dell’edizione numero 14 di Icar (Italian conference on Aids and antiviral research), in programma fino a oggi a Bergamo.
“L’Agenzia italiana del farmaco prevedeva l’indicazione di remdesivir entro 10 giorni – continua Falcone -. Volevamo vedere se un uso precoce di remdesivir, in pazienti ospedalizzati con polmonite per Covid, riduceva la progressione della malattia”. Nello studio prospettico osservazionale – dal titolo “Early Use of Remdesivir and Risk of Disease Progression in Hospitalized Patients With Mild to Moderate Covid-19”, recentemente pubblicato su ‘Clinical Therapeutics’ – sono stati considerati 312 pazienti ricoverati presso l’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa da settembre 2020 a gennaio 2021 e trattati con remdesivir entro o dopo 5 giorni dai sintomi.
“Nei pazienti che si ricoveravano in reparto con polmonite grave da richiedere un supporto di ossigeno ma non di ventilazione meccanica invasiva e non invasiva – spiega Falcone – tra i parametri che impattavano nella progressione della malattia (età, presenza di marcatori infiammatori, linfopenia, cioè linfociti bassi) abbiamo considerato anche l’uso precoce di remdesivir: entro 3-5 giorni dalla comparsa dei sintomi e oltre i 5 giorni”. Come si legge nello studio, “una storia di dispnea a casa era il più forte fattore indipendentemente associato alla progressione grave di Covid-19, mentre l’uso precoce di remdesivir riduceva del 51% la progressione della malattia”.
I risultati di questo studio real world, cioè dalla vita reale “sono in linea – osserva Falcone – con un lavoro pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’ che conferma come la somministrazione di remdesivir debba essere fatta entro i primi 3, massimo 5 giorni per chi si ammala e ha fattori di rischio per lo sviluppo della forma grave di Covid perchè, come riportato ora nella scheda di Aifa, hanno già delle patologie – cardiopatie, diabete, insufficienza renale – obesità, malattie oncologiche, immunodepressione”.
Anche alla luce di questi dati, adesso, in questi pazienti non serve più il ricovero per la somministrazione del remdesivir. Un motivo in più per non aspettare prima di rivolgersi all’ospedale, condizione che nello studio è stata associata a una somministrazione ritardata di remdesivir. “Il medico di famiglia – aggiunge l’infettivologo – invece di attendere l’evoluzione può inviare subito il paziente a rischio all’ambulatorio ospedaliero per fare precocemente l’infusione che dura 1-2 ore” e dimezzare il rischio di un aggravamento.
“La terapia precoce è con gli antivirali – sottolinea Falcone – perché, a differenza dei vaccini e degli anticorpi monoclonali, agiscono a prescindere dalla variante. I farmaci monoclonali e i vaccini agiscono infatti sulla proteina Spike, che si modifica nelle varianti, da Alfa a Delta a Omicron e alle sue sottovarianti. La risposta anticorpale indotta dai vaccini e le terapie con gli anticorpi monoclonali potrebbero non avere la stessa efficacia che avevano contro il virus di Wuhan o la variante Alfa. L’antivirale, invece, agisce su meccanismi di replicazione del virus e quindi – conclude – l’efficacia è indipendente dalla proteina Spike ed è attivo sia nel virus di Wuhan che nelle altre varianti”.