PRIMO PIANO

Etiopia, Tigray: la guerra “invisibile”

“Da duecento giorni la situazione nel Tigray è insostenibile”. Ci accoglie così Thomas, esponente della comunità tigrina a Roma, alla manifestazione a piazza dell’Esquilino, organizzata oggi, 21 maggio, per “sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità sul genocidio nel Tigray”. Da novembre la regione settentrionale dell’Etiopia è teatro di un conflitto tra l’esercito di Addis Abeba, le milizia Ahmara e il Fronte popolare di liberazione del Tigray. Una guerra che ha già provocato la fuga di oltre sessantamila persone nel vicino Sudan, in cui l’esercito nazionale è accusato di “stupri, crimini di guerra e di affamare la popolazione”.

Solo il 26 marzo il premier Abiy Ahmed Ali, che nel 2019 ha ricevuto il premio Nobel per la pace “per gli sforzi compiuti per raggiungere una tregua nel conflitto con la confinante Eritrea, ha dichiarato di aver ritirato le truppe dal Tigray, ma organizzazioni umanitarie smentiscono la versione del governo di Addis Abeba. 

Abyi Ahmed Ali, che in questo conflitto ha un ruolo tutt’altro che trasparente, è accusato dai manifestanti di “genocidio e pulizia etnica” nei confronti della comunità tigrina, in piazza per richiamare l’attenzione della comunità internazionale.

Il Consiglio di sicurezza, infatti, solo il 22 aprile ha rilasciato – fonte Ispi – la prima dichiarazione sulla crisi nella regione, denunciando la “drammatica situazione e le violenze sessuali ai danni di donne e bambine”, senza però intervenire concretamente.

La manifestazione a Roma

“Vengono praticati metodi di genocidio e persecuzione etnica – racconta Thomas – oggi siamo qui per fare delle semplici richieste: allontanamento dell’esercito eritreo, di quello etiope e delle milizie Amhara (ndr: gruppo etnico dell’Etiopia centrale) dal Tigray. La situazione è diventata drammatica. Fame e stupro sono strumenti utilizzati per sottomettere e terrorizzare il nostro popolo. Ci sono troppe vittime innocenti e civili senza alcun controllo da parte di autorità esterne”.

L’Etiopia, sede dell’Unione africana e considerata la “locomotiva dell’Africa” (secondo paese del continente per popolazione) dall’avvio della stagione “progressista” di Abyi, rischia così, nell’indifferenza generale, di sprofondare nel disordine. Il 21 giugno nel Paese si terranno le elezioni generali (Parlamento, regioni e un referendum per l’istituzione di un undicesimo Stato regionale). “Quella che doveva essere una svolta democratica, potrebbe rappresentare, in un contesto di grave fragilità politica, l’ennesima occasione perduta”, ha commentato Camillo Casola, Ispi Associate Research Fellow Programma Africa.