In Turchia ci sono quelli che li fumano, nel senso letterale del termine, chi li usa come carta igienica e chi, il più saggio, chi li tiene sotto il cuscino aspettando il peggio, che potrebbe anche non essere troppo tardi per arrivare. Il fatto è che, ancora una volta, il presidente della Repubblica turca, Recep Tayyip Erdogan, anche su un argomento tecnico come la svalutazione della moneta nazionale, è riuscito a fare propaganda politica e a dividere il suo paese in due.
Ieri sui giornali social e turchi è apparso tutto, entro i limiti della censura in corso in Turchia da diversi mesi. Appello con un tono discreto ma fermo, come quello della Camera di commercio di Istanbul, che chiede “azioni concrete” per uscire dalla situazione ad alto rischio, vale a dire l’aumento dei tassi di interesse da parte di Merkez Bankasi, la Banca Centrale turca. Rassicurazioni che arrivano da uomini di finanza vicini al governo, secondo cui le turbolenze sulla moneta nazionale sono una questione di giorni e che sembrano molto ottimistiche se si tiene conto che ieri la lira turca ha perso il 6,8% del biglietto verde. E poi c’è lui, il popolo di Erdogan, colui che crede nella teoria della cospirazione del presidente. Costituito da imprenditori che vendono dollari, come da lui richiesto, i negozianti che esibiscono cartelli “vendono dollari, salvano la lira turca e noi ti offriamo il caffè” (lo scambio sicuramente da perdere per chi accetta) e chi quella carta verde lo fa a pezzi il nome è un sentimento animato dalla logica che i mercati non conoscono, anche se al momento sono i mezzi principali che li alimentano.
Inoltre, che gli Stati Uniti nel paese sono stati a lungo visti come un nemico e che un sentimento anti-americano e generalmente anti-occidentale si è diffuso in tutto il paese, non è affatto nuovo. E il presidente della Repubblica non perde un’occasione per fomentarlo. L’ultimo ne ha approfittato ieri, rubando ancora una volta la scena al ministro delle finanze del genero, Berat Albayrak e accusando Washington di pugnalare la Turchia dietro di lui. “Da un lato fanno partner strategici – ha detto Erdogan durante il suo discorso alla conferenza degli ambasciatori – e poi fanno di tutto per mettere i bastoncini tra le ruote”. Il presidente ha poi sottolineato che l’economia turca “ha basi solide” e che riuscirà a superare tutte le turbolenze create per metterlo in difficoltà, con chiaro riferimento alla situazione della valuta nazionale e all’aumento tariffario deciso da Trump per l’acciaio e alluminio dalla Mezzaluna.
Nel frattempo, i giorni passano e ogni risveglio per uomini d’affari e risparmiatori rischia di essere brusco. Secondo alcune fonti di Ankara, gli Stati Uniti hanno fissato il 15 agosto come data finale per la liberazione del pastore Andrew Brunson, arrestato quasi due anni fa con l’accusa di legami con il terrorismo. Se Ankara, come sembra, dovesse rifiutarsi, le conseguenze potrebbero essere gravi e non solo da parte americana. Il ministro degli Esteri Serghei Lavrov è ad Ankara. Da Mosca è venuto l’interesse a trovare un accordo con la Turchia e altri paesi per lo scambio di merci in valute nazionali, escluso il dollaro. Segno che lo scontro potrebbe allargarsi e la reazione di Washington nei confronti di Ankara potrebbe dare origine a un effetto domino.