(Adnkronos) – L’ipotesi resta quella della doppia azione di due virus, ma potrebbe esserci un passo avanti sul fronte delle indagini sull’exploit di casi di epatite di origine sconosciuta registrato nei bambini più piccoli in alcuni Paesi nei mesi scorsi. Un team di scienziati britannici ritiene di aver identificato una possibile spiegazione a quanto è accaduto, e riapre anche la riflessione su un possibile effetto lockdown, nel senso che i due virus comuni da loro messi sul banco degli imputati sarebbero tornati alla ribalta dopo la fine del lockdown resosi necessario per mitigare la pandemia di Covid, hanno trovato una popolazione pediatrica particolarmente suscettibile (in quanto orfana di un’esposizione precoce ai due microrganismi) e hanno innescato casi di epatite rari ma molto gravi. La novità è che spunta un nuovo virus nella lista dei sospetti ‘attenzionata’ dagli scienziati. E dalla cerchia dei due maggiori indiziati esce invece Sars-CoV-2.
Ad essere chiamato in causa è il virus adeno-associato AAV2, rilevato nel plasma dei pazienti esaminati e nel fegato di alcuni di loro. Si tratta di un virus che richiede un ‘aiutante’ per replicarsi, un collega agente patogeno ‘coinfettante’, che in genere è l’adenovirus – fin da subito finito fra i sospetti per i casi pediatrici di epatite a eziologia sconosciuta – oppure un herpes virus. Ed effettivamente fra i casi analizzati sono stati rilevati sia adenovirus (sottogruppi C ed F) che – in misura minore – l’herpesvirus umano 6B. In uno studio messo a disposizione sulla piattaforma ‘MedrXiv’, che raccoglie lavori non ancora pubblicati e quindi non sottoposti a revisione paritaria, gli esperti – ricercatori dell’University of Glasgow, con colleghi di diversi atenei, dall’Imperial College London all’University of Edinburgh e University of Liverpool – riportano i risultati di un’indagine dettagliata condotta su 9 fra i primi casi rilevati (le segnalazioni iniziali sono arrivate proprio dalla Scozia) e su 58 soggetti utilizzati come controllo.
Gli autori premettono che sono necessari ulteriori studi su numeri più grandi, ma dal loro lavoro sembrerebbe dunque che “l’epatite pediatrica acuta ‘non A-E’ sia associata alla presenza di infezione da virus adeno-associato AAV2, che potrebbe rappresentare un patogeno primario o un utile biomarcatore di recente infezione da adenovirus o da herpesvirus umano 6B”. Quello che fanno notare gli esperti nel loro lavoro è anche che “la circolazione dei virus respiratori è stata interrotta nel 2020 dall’attuazione di interventi non farmacologici per arginare Sars-CoV-2, tra cui il distanziamento fisico e le restrizioni di viaggio”.
Queste misure “potrebbero aver creato un pool di bambini più piccoli suscettibili, con conseguenti tassi molto più elevati di circolazione di adenovirus e potenzialmente di circolazione del virus adeno-associato AAV2 in questa popolazione di bambini ‘naive’ quando le restrizioni Covid sono state allentate”.
Un ulteriore lavoro in corso, concludono gli scienziati, potrebbe aiutare a delineare se l’AAV2 è stato acquisito come coinfezione primaria o riattivazione. Il suo ruolo va indagato, conferma Emma Thomson, la professoressa che ha guidato la ricerca dell’università di Glasgow. Come riporta la ‘Bbc’ online, la scienziata evidenzia che “bisogna capire di più sulla circolazione stagionale di AAV2, un virus che non viene monitorato di routine: potrebbe essere che un picco di infezione da adenovirus abbia coinciso con un picco di esposizione ad AAV2, portando a una manifestazione insolita di epatite nei bambini piccoli sensibili”.