(Adnkronos) – Quando nel luglio del 2008 venne presentato il progetto, il geriatra Antonio Guaita, direttore della Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso nel Milanese, la definì “una banca di cervelli ‘parlanti'”. Oggi questo ‘caveau della ricerca’, che si è arricchito con “l’impegno di una generazione di abbiatensi”, i nati tra il 1935 e il 1939, volontari per amor di scienza, custodisce una cinquantina di encefali “e 55mila provette di sangue, plasma e cellule”. Conservare questo tesoretto ha un valore importante per gli studi che ne possono scaturire, ma comporta spese annue consistenti, che di questi tempi stanno diventando sempre più pesanti. Mantenere inalterate nei frigoriferi migliaia e migliaia di provette “ha un costo energivoro che ci sta mettendo in ginocchio – spiega Guaita all’Adnkronos Salute – perché è tutto conservato a -80 gradi centigradi”.
Un ‘capitale scientifico’ schiacciato dal caro energia. “Noi adesso abbiamo raggiunto i 17mila euro nell’ultima bolletta dell’elettricità, eravamo sui 4-5 mila nello stesso mese dell’anno scorso. Quindi la voce è triplicata – calcola il geriatra – Stiamo cercando di rendere più efficiente il sistema, stiamo cercando di vedere se forme alternative di crioconservazione consentono risparmi. Per esempio, l’azoto liquido che viene usato come raffreddante. Stiamo pensando di potenziare i pannelli solari. Insomma tutto quel che possiamo fare. E poi stiamo cercando i fondi. Se questi non arrivano possiamo fare tutto quello che vogliamo, ma non riusciremo” ad attutire il colpo degli extra costi.
La Banca del cervello di Abbiategrasso è nata ormai un decennio fa: 1.300 anziani della città, di età fra i 70 e i 74 anni, hanno accettato di diventare ‘alleati della neurologia’ partecipando a uno studio longitudinale in cui “sono stati valutati nel tempo da un punto di vista neuropsicologico, clinico, biologico. Abbiamo il Dna di tutti – racconta Guaita – In partenza erano 1.300, adesso siamo alla quinta rivalutazione dello stesso gruppo e ora sono diventati 700. In questo momento hanno accettato di donare il loro cervello post mortem circa 300”. Al progetto “c’è stata un’ottima risposta, tanto che adesso abbiamo anche una lista d’attesa perché, non avendo abbastanza fondi, non siamo in grado di seguire nel tempo più di un certo numero di persone”. Il motivo per cui questo insolito deposito bancario sia importante, Guaita lo ricorda in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer: “Alla Fondazione Golgi Cenci una delle tre linee di sviluppo e di ricerca è la neuropatologia e la Banca del cervello, quindi lo studio dell’invecchiamento cerebrale e delle patologie sul cervello come organo. Noi siamo fra i pochi ad avere il cervello di persone con Alzheimer, ma anche di persone senza la malattia e possiamo fare dei confronti”.
“E’ importante studiare il cervello laddove abbiamo seguito le persone e sappiamo in che condizioni cognitive hanno vissuto e così via – osserva Guaita – Questo comporta visite periodiche, esami e un costo rilevante. La valutazione di un paziente dura 3 ore e mezzo complessive. Diciamo che in termini economici è difficile dire quanto abbiamo investito. Noi possiamo pensare a un budget annuo che è circa la metà del budget della nostra Fondazione, quindi sui 300mila euro l’anno. Ci lavoriamo da un decennio. Abbiamo raccolto 41 encefali e 10 encefali di persone morte di Covid. Li abbiamo studiati e abbiamo pubblicato. Siamo stati per esempio fra i primi al mondo a dimostrare che il virus non si replica nel cervello, fa un sacco di danni, ma attraverso l’infiammazione e il danno vascolare”.
Sul fronte Alzheimer, invece, “grazie anche al finanziamento di un’altra Fondazione che si chiama Serpero e che è interessata a sostenere la nostra ricerca della Banca del cervello, stiamo portando avanti un’attività di mappatura cerebrale – illustra il geriatra – Noi sappiamo che l’Alzheimer ha alcuni siti caratteristici dove fa più danni all’interno del tessuto cerebrale e quindi diventa molto importante andare a vedere le differenze fra le diverse aree cerebrali dal punto di vista della composizione e dell’ambiente di determinate proteine controllate da determinati geni. Se è vero che ci sono aree che sono più soggette, e altre meno, ai danni provocati dall’Alzheimer, noi cerchiamo di definire il contesto in cui si muovono gli agenti tossici e cerchiamo di misurare non solo le proteine, ma anche la ‘trascrittomica’, cioè quanto il Dna ordina all’Rna messaggero di costruire determinate proteine”.
E’ un elemento che “ci dà un’idea della funzione, non solo della concentrazione. Su questo prevediamo di avere dei risultati l’anno prossimo – prospetta Guaita – Adesso fra ottobre e novembre avremo quasi finito le analisi di laboratorio. Seguirà una parte statistica e biostatistica estremamente complessa, che porta via molto tempo. E poi c’è da interpretare le cose che vediamo. E’ una massa di dati notevolissima, ma grazie alla Fondazione ulteriore che ci sta aiutando siamo riusciti a farlo. Mentre altri studi, sulla microglia e sull’ambiente immunologico e connettivale del cervello, dipenderanno molto se verremo finanziati dal Pnrr oppure no. Abbiamo partecipato al bando competitivo passando il primo step. Siamo in attesa del secondo”.