Che all’invecchiamento seguano purtroppo delle patologie, siamo ‘preparati’ tuttavia, ciò che invece preoccupa (e tanto), è l’incredibile aumento delle demenze, al punto che negli ambienti sanitari si sta già usato l’inquietante termine ‘emergenza’.
Stando infatti a quanto annunciato oggi nell’ambito di un specifico convegno (‘Mind the gaps: poniamo l’attenzione sui divari regionali nella presa in carico delle persone con demenza’), volto a capire l’utilizzo dei fondi stanziati nella legge di Bilancio 2021 per l’Alzheimer e le demenze, nel 2050 in tutto il pianeta si conteranno qualcosa come 153 milioni di persone affette da casi di demenza! Tra queste, ben 2,3 milioni saranno riconducibili a cittadini italiani, parliamo di 900mila casi in più rispetto ad oggi.
Dunque per il nostro sistema sanitario nazionale si prospetta un futuro oneroso, per far sì che ciascuna delle regioni possa essere debitamente attrezzata per supplire a questa devastante escalation delle patologie senili. Se pensiamo che già oggi, in realtà sono per lo più le famiglie a doversi fare carico delle continue cure ed esigenze dei loro cari, non osiamo nemmeno immaginare cosa potrebbe accadere di qui a 25 anni.
Come spiega il direttore del Centro dipartimentale di studio sulla sanità pubblica dell’Università Bicocca di Milano, Lorenzo Mantovani, “Incidenza e prevalenza di demenza sono crescenti all’avanzare dell’età, e l’Italia è già oggi una delle nazioni con la struttura della popolazione più anziana, tanto che la Global Burden of Disease Collaboration identifica il nostro quale uno dei Paesi con il maggior impatto delle demenze. Le previsioni demografiche indicano che la nostra popolazione è destinata a invecchiare ulteriormente e questo è un successo del nostro sistema sanitario. Un successo che renderà però l’entità epidemiologica ancora maggiore. Se anche il carico di malattia crescerà, questo dipenderà dalla disponibilità di strumenti di prevenzione, diagnosi, trattamento e riabilitazione sempre più efficaci“.
Dunque ci sarà un bel da fare, anche se va detto che nella cura delle demenze e in particolare dell’Alzheimer, nel nostro Paese sono stati fatti sensibili passi in avanti. Certo, purtroppo per il momento l’unica arma che abbiamo a disposizione per gestire al meglio la situazione, è la prevenzione resta insieme alla diagnosi precoce. In questo modo è se non altro possibile rallentare il decorso della malattia. Come spiega il professore ordinario di neurologia e direttore Clinica neurologica, Università degli Studi di Brescia, e direttore Uo Neurologia Asst Spedali Civili di Brescia, Alessandro Padovani, “La ricerca sulla malattia di Alzheimer ha fatto negli ultimi anni dei notevoli progressi che hanno consentito di comprendere meglio i meccanismi patogenetici della malattia e di sperimentare strategie terapeutiche. Già oggi sappiamo che alcuni farmaci sono in grado di ridurre, se non proprio eliminare, la beta-amiloide, una proteina correlata alla neurodegenerazione, e di rallentare il decorso del declino cognitivo. In questo contesto, è fondamentale riuscire a migliorare la identificazione dei soggetti a rischio, così come lo è effettuare una diagnosi precoce in coloro che cominciano a manifestare i primi segni. Numerosi studi sembrano confermare quello che alcuni anni fa sembrava un miraggio, ovvero vi sono evidenze consistenti a favore del fatto che si possa arrivare ad una diagnosi mediante un esame ematico“.
Grazie a questi risultati – “se confermati e validati” – spiega ancora Padovani, “ci potranno permettere di caratterizzare con precisione i pazienti e di intervenire precocemente anche sui fattori di rischio. In particolare, esiste la concreta possibilità di poter indagare l’effetto biologico di terapie farmacologiche anche in soggetti a rischio ancora cognitivamente intatti“.
Ed in un contesto, come detto, in cui si sottolinea l’importanza delle indagini, in merito alla varietà di servizi offerti, continuiamo ad assistere a disparità tra le Regioni. Motivo per cui, “dal rifinanziamento nel 2024 del Fondo 2021, in merito ai servizi offerti”, spiega il responsabile Osservatorio nazionale delle demenze dell’Istituto superiore di sanità, Nicola Vanacore, “la sostenibilità dovrà essere assolutamente garantita“.
Quello del 2021, prosegue, “è nei fatti il primo finanziamento pubblico sulla demenza nella storia del nostro Paese, e ci auguriamo che il Fondo venga rifinanziato dal 2024 con un investimento più consistente, considerando l’impatto economico e sociale della demenza sulla nostra società. I progetti delle Regioni, sono in corso dal mese di luglio e sono focalizzati su una o più delle cinque linee progettuali previste dal decreto del Fondo demenze (diagnosi precoce, diagnosi tempestiva, telemedicina, tele-riabilitazione e trattamenti non farmacologici). Il decreto stanzia 15 milioni di euro in 3 anni (2021-2023) per l’esecuzione di una serie di attività progettuali orientate al perseguimento degli obiettivi del Piano nazionale delle demenze (Pnd). Si tratta di un finanziamento specifico sulla demenza dopo quasi 8 anni dalla pubblicazione del Pnd che non prevedeva alcun sostegno economico“.
Del resto non ci sono alterative, come rimarca giustamente la presidente di Alzheimer Uniti Italia Onlus, Manuela Berardinelli, “I fondi sono importanti per poter garantire continuità assistenziale, flussi informativi centralizzati sui dati epidemiologici, sugli accessi ai servizi, interventi di telemedicina e, naturalmente, per potenziare gli strumenti di diagnosi precoce che oggi sono rimborsati solo in casi eccezionali attraverso i fondi di ricerca”. Inoltre, ribatte anche Ne è convinta Manuela Berardinelli,la presidente di Alzheimer Uniti Italia Onlus: “La diagnosi precoce è essenziale e deve essere accessibile a tutti. Sarebbe utile poi prevedere uno screening agli over 65. Intercettare la malattia, come dovrebbe essere, nelle sue prime manifestazioni è importante se contemporaneamente si inizia un percorso con la persona malata e la famiglia, una presa in cura da parte di tutti gli attori del sistema, altrimenti c’è la consapevolezza senza sapere cosa e come fare, e questo è lo stato attuale di tante famiglie“.
Max