Il prossimo 3 novembre i cittadini statunitensi voteranno per il nuovo presidente. Una competizione iniziata già a febbraio con le primarie democratiche e repubblicane, con cui gli elettori hanno deciso i candidati in corsa per la Casa Bianca. Storicamente sono mesi di viaggi, porta a porta, comizi, convention che riempiono piazze, teatri e palestre di licei. Luoghi di scontro politico tra i due sfidanti, ma anche di eventi di gala per la raccolta dei fondi destinati alle costose campagne elettorali. La pandemia da Covid-19 ha stravolto tutto questo. Joe Biden, candidato democratico, e Donald Trump, candidato repubblicano e presidente in carica, hanno già modificato il loro piano d’azione.
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La rielezione di Trump è appesa a un filo: la (rapida) ripresa economica del paese. Un’opzione remota, stando alle parole di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve. I repubblicani hanno però confermato la convention di Charlotte, in North Carolina, dal 24 al 27 agosto. Il presidente, racconta Andrea Marinelli nella rivista Sette, spera che la convention rappresenti “la dimostrazione tangibile che, grazie alla sua leadership, gli Stati Uniti sono tornati alla normalità”. I democratici hanno scelto un approccio differente: hanno posticipato la convention di Milwaukee al 17 agosto, ma non si sa se, alla fine, sarà confermata o meno.
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Sarà la campagna più social di sempre e gli sfidanti dovranno convincere gli elettori attraverso degli schermi. Verrà favorito il vecchio Biden o lo straripante Trump?
Trump ha dimestichezza con i social e, durante il suo mandato, non è stato avaro di comunicazioni su Twitter. Dalla scorsa settimana ha iniziato anche a viaggiare per l’America. In Arizona in una fabbrica di mascherine (senza indossare la mascherina) e a Detroit, in Michigan, in una fabbrica della Ford. Michigan e Arizona sono swing states insieme a Florida e Pennsylvania, ovvero gli Stati indecisi, fondamentali per la vittoria alle presidenziali. Valore aggiunto per Trump, che però sta rischiando una sovraesposizione mediatica a causa dell’emergenza sanitaria. Hanno fatto scalpore alcune dichiarazioni rilasciate nelle conferenze stampa quotidiane sul coronavirus, mal digerite soprattutto tra l’elettorato indipendente. Necessario per la vittoria finale.
Joe Biden, dopo aver ottenuto importanti appoggi all’interno del partito, è riuscito a fare quello che era mancato a Hillary Clinton nel 2016: unire il fronte democratico. Ma la sua campagna elettorale è zoppicante. I soldi a disposizione sono pochi rispetto a quelli del tycoon e sleepy Joe, con i suoi 78 anni, non è un fulmine di guerra. Il virus però ha confinato la campagna elettorale nel suo seminterrato di casa, da dove Biden tiene videoconferenze per parlare al paese. Forse un’arma a suo vantaggio date le sue abilità oratorie, in realtà apparse un po’ in affanno nelle ultime uscite. E poi c’è la storia di Tara Reade: la vicenda delle accuse di molestie sessuali. Per ora non sembra aver intaccato tra i democratici la popolarità di Biden (anche perché a molti Tara Reade non è sembrata troppo credibile e Trump non è un santo). Ma la questione potrebbe cambiare velocemente e creare imbarazzo. Forse Biden, più che spingere se stesso, aspetta scivoloni (tanti) del rivale. Basterà?
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A novembre si eleggerà anche la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato. Con la pandemia ancora in corso c’è il problema di come si voterà. È improbabile che Trump provi a rinviare le elezioni. Molti Stati (34 su 50) già prevedono, con modalità diverse, il voto postale, che eviterebbe assembramenti ai seggi e la diffusione del virus. Ma non piace a Trump: voterebbero forse più persone e sembra non convenga al Grand Old Party. Massimo Gaggi, sempre su Sette, ha definito “l’organizzazione del voto” una battaglia culturale (e giudiziaria). Si vedrà come andrà a finire.
Mario Bonito