Martedì 3 novembre 2020 i cittadini degli Stati Uniti d’America saranno chiamati alle urne per scegliere chi sarà l’inquilino alla Casa Bianca per i prossimi quattro anni. I candidati in corsa sono l’attuale presidente repubblicano Donald Trump e il democratico Joseph Biden, ex vicepresidente di Barack Obama, che ha vinto con largo anticipo le primarie del partito dopo il ritiro di Bernie Sanders.
Negli Stati Uniti la data delle elezioni è una certezza. Dal 1845 infatti si vota il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre, una scelta che ha origini nel passato agricolo del Paese. Novembre era il mese della fine dei raccolti autunnali e dell’inizio dell’inverno, martedì il giorno di mezzo tra la domenica, giornata di riposo e tradizionalmente religiosa, e il mercoledì, dedito ai mercati.
Oggi però i cittadini di 34 Stati possono richiedere di votare anticipatamente, con metodi e requisiti che variano a seconda dello Stato. È una pratica cresciuta molto nel corso del tempo: da quando è stata istituita nelle elezioni 1992, si è passati dal 7% al 36.6% di elettori che nel 2016 hanno votato prima dell’election day.
Con le presidenziali si eleggono presidente e vicepresidente attraverso un sistema elettorale indiretto. I cittadini votano 538 grandi elettori, che si riuniranno a dicembre nel Collegio elettorale, che a loro volta eleggono il presidente a scrutinio segreto e senza vincolo di mandato (principio previsto in 26 Stati), anche se è molto difficile che i grandi elettori non votino per il candidato per cui sono stati nominati. Per diventare presidente il candidato dovrà ottenere almeno la maggioranza assoluta, ovvero 270 voti.
Ogni Stato sceglie con la propria legge elettorale il numero dei grandi elettori in base alla sua grandezza, da un massimo di 55 della California a un minimo di 3 degli Stati più piccoli. 48 Stati adottano il sistema maggioritario del winner takes all: il candidato vincitore di uno Stato prende tutti i grandi elettori a disposizione. Fanno eccezione il Maine e il Nebraska, dove si vota con un sistema più proporzionale.
Sulle presidenziali del 2020 molto sarà determinato dagli sviluppi della pandemia da coronavirus e dal modo in cui il presidente Trump gestirà la crisi economica. Gran parte dei sondaggi dà Biden favorito; secondo la Cnn addirittura di 11 punti percentuali in più rispetto a Trump, RealClearPolitics, che fa la media dei poll nazionali, di 6. Per la Fox, più vicina al Grand Old Party, tra i due sarà un testa a testa.
Di certo giocheranno un ruolo chiave i cosiddetti swing states, gli stati indecisi, quali il Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Virginia e la Florida, che da sola mette a disposizione ben 29 grandi elettori, spesso fondamentali. Sono gli Stati che non rappresentano un porto sicuro né per uno né per l’altro partito, in cui vengono investite molte delle risorse della campagna elettorale. Per il momento i sondaggi sorridono a Biden, ma la corsa è ancora lunga e la storia ha insegnato a non sottovalutare il tycoon.
Sono attesi alle urne circa 120 milioni di elettori, tra il 50 e il 60% degli aventi diritto. Un’affluenza molto bassa data l’importanza dell’evento rispetto a quella a cui siamo abituati in Europa. È un dato collegato a diversi fattori della società americana, che scende anche fino al 40% nelle midterm elections, le elezioni di metà mandato, dove, tra le altre cose, vengono rinnovate la Camera dei rappresentanti e una parte del Senato. I 435 membri della Camera restano in carica due anni, i senatori sei. Nel 2018 si registrò ‘un’onda democratica‘ del voto popolare, anche se il Senato rimase nelle mani di Trump, mentre la Camera passò ai democratici.
Le presidenziali di novembre ci diranno dunque se la spinta democratica è ancora forte oppure se Trump può aspettare il 2024 per fare le valigie. Rispetto al 2016 i dem possono contare su un partito unito intorno alla figura di Biden. Lo confermano gli endorsement rilevanti che ha incassato la scorsa settimana: Barack Obama, Bernie Sanders, Elizabeth Warren ecc. Trump però è sotto i riflettori per la gestione del virus, un’arma a doppio taglio che avrà un peso non indifferente negli esiti del voto.
Mario Bonito