(Adnkronos) – La fiamma tricolore non si spegne nel simbolo di Fratelli d’Italia e non si spengono le polemiche per la sua presenza nelle schede elettorali che gli italiani riceveranno ai seggi il 25 settembre. “La fiamma sicuramente sarà dove gli italiani barreranno il voto, visto che i simboli sono stati depositati a metà agosto e non si possono più cambiare”, spiega in una intervista all’AdnKronos Gabriele Maestri, costituzionalista e esperto di diritto dei partiti.
“Il partito guidato da Giorgia Meloni si presenterà così alle elezioni, poi toccherà al gruppo dirigente decidere cosa fare. Potrebbe scegliere di mantenere la fiamma, segno identitario per quell’area politica e magari votato anche da varie persone che non vi si riconoscono in pieno, oppure potrebbe archiviarlo una volta per tutte qualche mese dopo il voto, come a dimostrare la sua evoluzione. La prima sarebbe una scelta coerente, la seconda una scelta di maturazione: in ognuno dei due casi, Fdi potrebbe uscirne rafforzata”, è la convinzione di Maestri, curatore di www.isimbolidelladiscordia.it, sito dedicato alla storia dei simboli della politica.
Maestri poi ricostruisce la storia della fiamma, a partire dalla nascita della Repubblica, dopo il ventennio. Ricordando che il simbolo della fiamma tricolore “apparve per la prima volta sulle schede su scala nazionale il 18 aprile del 1948, per distinguere le liste del Movimento sociale italiano, dopo le prime partecipazioni alle elezioni amministrative”. Alla base di quell’emblema c’erano “varie suggestioni: la fiamma degli Arditi della Grande Guerra, che richiamava anche l’idea del sacrificio per un ordine superiore, poi il tricolore dell’Italia, allora poco diffuso tra i simboli politici, infine c’era la base trapezoidale con la sigla M.S.I”.
Quella base “per alcuni era un semplice braciere, per altri rimandava addirittura a una presunta bara di Mussolini, secondo ricostruzioni più o meno mitizzate”. Mentre la Repubblica italiana muoveva i suoi primi passi, “quella fiamma tricolore fu vissuta fin dall’inizio come segno profondamente identitario da quell’area politica. In seguito sarebbe diventata emblema delle posizioni di parte della destra, anche all’estero: non a caso negli anni Settanta Jean-Marie Le Pen ottenne da Giorgio Almirante l’uso della fiamma tricolore, sostituendo il nostro verde con il blu”.
Quando, tra il 1994 e il 1995, il Msi scelse di trasformarsi in Alleanza nazionale, “il partito guidato da Gianfranco Fini volle mantenere la fiamma in miniatura – ricorda Maestri – un po’ per ricordare la sua vecchia identità e un po’ per evitare che del simbolo storico si appropriassero coloro che non avevano condiviso la svolta di Fiuggi e nel 1995 avrebbero fondato il Movimento sociale Fiamma Tricolore”. Una scena simile si sarebbe ripetuta meno di vent’anni dopo: “Inizialmente Fratelli d’Italia non aveva la fiamma nel simbolo, ma alla fine del 2013 ottenne dalla Fondazione An l’uso del simbolo di Alleanza nazionale: l’intento era di riconnettersi all’ultimo partito di destra rilevante e già in parte ‘sdoganato’ e, allo stesso tempo, non lasciare la fiamma nelle mani di altri gruppi che volevano riportarlo sulle schede”.
Alla fine del 2017 il partito ha compiuto l’ultimo passaggio grafico-politico rilevante: “La fiamma è rimasta, come segno identitario di quell’area politica e per non disperdere la memoria della destra italiana, ma è stata tolta la base trapezoidale con la vecchia sigla del Msi. Già allora si trattò di un passaggio significativo; qualcuno in Fdi è ancora legato a quel fregio, altri se ne priverebbero senza problemi, ma sarà il partito a decidere dopo il voto”.