Non solo Eitan Biran, il bimbo sopravvissuto alla tragedia della funivia del Mottarone, dove sono morti i genitori e il fratellino, e rapito nei giorni scorsi dal nonno. Ogni anno in Italia sono diverse decine i bambini contesi da chi tratta spesso i minori come pacchi postali. Storie che mostrano i limiti di alcuni adulti e che impegnano i tribunali per i Minorenni in processi non sempre rapidi. “A Milano i bambini sottratti all’estero e portati in Italia, quindi trattati da un giudice italiano, sono annualmente tra i 15 e i 20 casi. Un numero consistente e che si mantiene stabile”, spiega all’Adnkronos Ciro Cascone, procuratore della Repubblica presso il tribunale per i Minorenni di Milano che ha competenza distrettuale e copre ben 8 province e 966 comuni lombardi. I casi “nella maggior parte si concludono con il tribunale che dispone il rientro del bambino”, a meno di un accordo tra le parti.
“Il problema grosso è che quando si dispone il rientro può diventare complicato eseguirlo: è capitato che bambino e genitore scompaiono anche per periodi lunghi, così come è stato necessario talvolta ricorrere all’intervento delle forze dell’ordine”. Difficile, invece, calcolare quanti minori lasciano l’Italia. “In alcuni casi ci avvisano, ma nulla possiamo fare – spiega Cascone – se non consigliare di attivare la Convenzione dell’Aja che prevede due strade: rivolgersi al ministero della Giustizia quindi attivare il canale diplomatico oppure rivolgersi direttamente al giudice straniero. E’ preferibile la prima opzione per avere un’assistenza”.
La Convenzione dell’Aja – l’attivazione va fatta entro un anno – “prevede che la decisione arrivi entro sei settimane dal momento in cui la domanda viene portata davanti al giudice. In Italia la legge che ha recepito la Convenzione sulla protezione dei minori ha abbassato e previsto addirittura solo 30 giorni, però complessivamente il tempo si allunga e altro ne occorre per eseguire il provvedimento. In realtà si può arrivare a sei mesi o un anno nei casi più complessi per avere una soluzione”. Decisione che è solo nelle mani del giudice e che non può essere lasciata al minore.
“E’ folle – sottolinea Cascone, procuratore della Repubblica presso il tribunale per i Minorenni di Milano – pensare di chiedere al bambino con chi vuole stare: è come chiedergli se vuole più bene a mamma o papà. Un bambino non può avere sulle spalle il peso di questa decisione, non compete a lui, per questo ci sono gli adulti. Dobbiamo ascoltare il bambino, il che non vuol dire fargli la domanda ‘con chi vuoi vivere’, ma significa farsi raccontare come vive per capire se vive una situazione di benessere o meno, se è radicato in quel contesto”.
Nel caso di Eitan, rapito dai nonni materni e portato in Israele con un volo privato partito dalla Svizzera, il giudice tutelare di Pavia – che ha confermato l’affidamento alla zia paterna -, ha tenuto conto di un “progetto di vita già attuato dai genitori di Eitan (morti nella tragedia del Mottarone, ndr) che avevano già scelto per lui, ad esempio, la scuola da frequentare. Sulla base di questi fatti è stato deciso l’affidamento”. Entrambi i nonni sono ora indagati dalla procura di Pavia per sequestro di persona aggravato dall’età del minore, rischiano una pena tra i 3 e i 15 anni, ma nell’interesse del bambino di soli 6 anni potrebbero continuare a vederlo.
“All’estero molti Paesi, tra cui gli Stati Uniti, sono molo duri con queste condotte, talmente duri che per il genitore che adotta la sottrazione viene spesso emesso un provvedimento di cattura. Ricordo di una madre che, nonostante le rassicurazioni, è stata arrestata una volta atterrata a New York, trattenuta per 30 giorni e poi espulsa: il figlio non l’ha più visto. Forse anche in Italia dovremmo avere una legislazione più rigorosa perché è l’unico modo per far capire che i bambini sono persone, non sono cose, oggetti o giocattoli che gli adulti decidono di spostare da un punto all’altro secondo i loro interessi o capricci”, aggiunge Cascone.
Non è così in Italia. “Se ci sono particolari garanzie”, i nonni potrebbero tornare a vedere Eitan “perché il bambino ha il diritto di mantenere i rapporti con tutti i parenti, di coltivare anche quella parte di tradizione e cultura di cui il nonno è portatore e che teme che stando in Italia non verrebbe trasmessa. Esistono i sistemi. Se il bambino rientra in Italia, come tutti ci auguriamo, si troverà il modo (visite protette, ritiro del passaporto) per fargli continuare a coltivare i rapporti con tutti i familiari del ramo materno perché ne ha diritto”.
E questo anche se è chiaro che “c’è stata una sottrazione illecita ed è stato commesso un reato. C’è stata un’aperta violazione di un provvedimento di un giudice e ci leggo un mancato riconoscimento delle istituzioni”, sottolinea. In questa vicenda internazionale “assume importanza il canale diplomatico. Se lo Stato di rifugio applicherà correttamente, come credo, le disposizioni della Convenzione Aja, disporrà il rientro in Italia, poi sarà davanti al giudice della residenza, cioè in Italia, che si andrà a discutere dove è meglio che stia Eitan che da mesi sta galleggiando in un mare di dolore, ed ha bisogno solo di stabilità per ritrovare un equilibrio di vita. Lui risiedeva in Italia quindi che ad occuparsi della vicenda sia un giudice italiano non è un capriccio, ma è la giurisdizione, sono le regole”, aggiunge.
“A volte non viene compreso che questo reato viene commesso innanzitutto contro il bambino stesso, perché se legittimamente vuoi contestare le condizioni di vita del bambino lo fai davanti al giudice. tra l’altro, c’è stato un provvedimento che i nonni hanno impugnato, era prevista un’udienza a ottobre per discuterne, era quella la sede, l’avevano imboccata la strada corretta. Se ognuno decide che ha sfiducia nel giudice e decide di farsi giustizia da solo torniamo all’età della pietra”, conclude Ciro Cascone.