Nei primi otto mesi del 2015 si sono contati in Egitto 1.250 casi di sparizioni forzate, lo denuncia la Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà (Ecrf) che, sullonda emotiva causata dalla violenta scomparsa del ricercatore italiano Giulio Regeni (trovato morto al Cairo lo scorso febbraio), troiva ora terreno fertile per testimoniare il rischio di essere prelevati con la forza in strada dalle forze di sicurezza e sparire per sempre. E per contrastare il fenomeno, la stessa ong ha creato ’I Protect’,una app che permette ai possessori di smartphone fermati dalle forze di sicurezza di inviare immediatamente messaggi di testo con la posizione dell’arresto a tre contatti indicati e all’indirizzo email dell’Ecrf. L’ong spera così, in questo modo, di favorire una rapida reazione nelle prime 24 ore di un arresto, ritenute fondamentali per impedire che le persone fermate vengano trasferite da una stazione di polizia a una struttura più grande, dove è più difficile individuarle. Come ha spiegato ai cronisti del The Guardian, il direttore esecutivo dell’Ecrf, Mohammed Lotfy: “Essere in grado di far sentire la propria voce per l’arresto di un attivista o manifestante già nelle prime ore ostacola la loro detenzione in isolamento, o peggio la loro sparizione forzata, e quindi riduce i rischi che siano sottoposti a tortura o ad altri maltrattamenti”. La maggior parte delle sparizioni forzate avviene nelle grandi città del Paese e ha come protagonisti giovani, alcuni in età scolare. Un recente rapporto di Amnesty International ha denunciato che diversi ragazzi con meno di 14 anni sono spariti “senza lasciare traccia nelle mani dello Stato”. Nel rapporto si spiega che la vittima scompare in una grande struttura di sicurezza e le viene negato il contatto con la propria famiglia o con un rappresentante legale. Le sparizioni forzate, spiega Amnesty, sono “uno strumento chiave dello Stato egiziano”. Secondo il Guardian, si ritiene che ci siano centinaia di persone tenute segretamente in custodia nei locali dell’Agenzia di sicurezza nazionale a Piazza Lazoghly, al Cairo, all’interno dell’edificio dove ha sede il ministero dell’Interno. Ma Non è la prima volta che in Egitto viene creata una app per proteggersi dagli abusi dello Stato. Nel 2013 venne lanciato un programma analogo che allertava i contatti di chi veniva arrestato durante le proteste, anche se la app in sé si rivelò a sua volta pericolosa perché la polizia cercava chi ce l’avesse installata sul telefonino. Lo sviluppatore di ’I Protect’, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha spiegato che l’interfaccia grafica della app è stata elaborata proprio per evitare che la polizia la scopra. “Dopo l’installazione – ha dichiarato – la app si trasforma in un calcolatore. In questo modo chi apre la app vede semplicemente l’interfaccia di una calcolatrice. Solo l’utente può convertire la calcolatrice nella app reale mediante la combinazione di alcune parole e di chiavi che egli stesso stabilisce”.