(Adnkronos) –
Due piazze per chiedere la pace. La giornata delle manifestazioni per l’Ucraina vede le opposizioni schierate in città diverse, Roma e Milano, e una serie di sfumature sul percorso da seguire per ottenere una tregua, che viene invocata da tutti. Sullo sfondo, al di là delle polemiche politiche che comunque si intrecciano, è il tema del sesto invio di armi a Kiev che resta il nervo scoperto del fronte progressista schierato per la pace.
Carlo Calenda e Matteo Renzi monopolizzano l’appuntamento all’Arco della pace a Milano. Enrico Letta, Giuseppe Conte e gli altri partiti progressisti, senza bandiere, sfilano a Roma ma non insieme. A scaldare l’atmosfera ci ha pensa sin dal mattino il leader di Azione, che mette subito le cose in chiaro: “A Roma una manifestazione contro ‘il bellicismo europeo’ e il diritto dell’Ucraina di difendersi; a Milano una piazza contro l’aggressione Russa. Resistenza vs Resa”. Una contrapposizione che attraversa tutta la giornata, nonostante venga subito respinta da Letta: “Nessuna polemica da parte nostra”.
Ma oltre ai tweet infuocati di Calenda sono le parole di Conte, il primo ad arrivare in piazza, a tirare subito una linea che passa proprio nel mezzo del fronte delle opposizioni: “Ho sentito dire al ministro Crosetto che il governo si appresta a fare il sesto invio di armi all’Ucraina. Il governo non si azzardi a procedere senza aver interpellato il Parlamento, tanto più trattandosi di un governo che non è più di unità nazionale”, dice subito il leader del M5s.
E’ una posizione che viene subito sposata da Articolo 1: “E’ impensabile che si decida un sesto invio senza passare per le Camere”, dice il coordinatore Arturo Scotto. Che certo non dispiace a Sinistra Italiana: “E’ evidente che la soluzione militare non è la soluzione”, spiega Nicola Fratoianni. E anche ai Verdi: “Le decine e decine di migliaia di persone che sono a Roma non sono certo filo putiniane ma vogliono portare i grandi Stati a un tavolo di trattative”, sottolinea Angelo Bonelli.
Mentre per il segretario di +Europa Benedetto Della Vedova “serve proseguire il sostegno umanitario, economico e militare alla resistenza Ucraina”. Così, mentre Peppe Provenzano chiarisce che “le polemiche politiche le strumentalizzazioni sono del tutte fuori luogo”, il tema armi e come arrivare alla pace resta molto presente nel fronte progressista. Attraversando anche il Pd. “Sono convinto che una straordinaria partecipazione dal basso debba essere ascoltata e valorizzata”, sottolinea Andrea Orlando. E non è un caso se Letta, a due passi da piazza san Giovanni, viene bersagliato da qualche contestatore che gli rimprovera: “Basta inviare armi”.
Il segretario del Pd, sfilando nel corteo, ribadisce che “la pace è la cosa più importante di tutte”, che “noi siamo a nostro agio in una piazza che chiede pace, per noi la pace vuol dire la fine dell’invasione Russa. Questo è il punto centrale”. E sulle armi a Kiev, spiega: “Quando il governo avanzerà una proposta la vaglieremo e se ne parlerà. Abbiamo sempre detto che lavoreremo in continuità con quello che si è fatto, in linea con le alleanze europee e internazionali di cui facciamo parte”.
E’ la capogruppo alla Camera Debora Serracchiani a specificare: “Noi abbiamo tenuto finora una posizione lineare: aiutando l’Ucraina si aiuta l’Europa. Finora noi lo abbiamo sempre fatto. Siamo disposti a ragionare con il Governo”.
Il ‘sipario’ sulla giornata di manifestazioni spetta a Calenda, perchè il raduno di Milano si tiene nel pomeriggio e slitta fino al crepuscolo. Il leader di Azione se la prende soprattutto con il leader del M5s: “Conte è stato con Salvini quando era Putinista, è filo Trumpiano, ha firmato la via della seta con i cinesi e poi ha deciso che è progressista. Adesso ha deciso che è pacifista. Domani deciderà che è comunista e tra quattro giorni diventerà nazionalista”. “C’è una definizione per Conte -incalza Calenda- si chiama qualunquismo, e nella cultura italiana il qualunquismo è di destra, non c’entra niente con la sinistra”. Parole che arrivano dopo la sferzata mattutina riservata da Conte al terzo polo: “Non ho capito se la piazza di Milano è per la pace o per la guerra”.
Per il segretario del Pd, invece, Calenda sceglie il ramoscello d’ulivo: “Mi dispiace che Letta non sia qui. Non sarebbe stato contestato. Qua c’è metà del Pd lombardo. Nessuno avrebbe contestato Enrico Letta perché se c’è una cosa che va riconosciuta a Enrico Letta è la totale linearità sulla questione ucraina. E quindi qui sarebbe stato solo applaudito”.