“Dobbiamo fronteggiare l’emergere di nuove e pericolose varianti del virus. Rimaniamo pronti a intervenire con convinzione nel caso ci fosse un aggravarsi della pandemia tale da provocare danni all’economia del Paese“.
Nell’ambito di un interessante intervento tenuto presso la prestigiosa Accademia dei Lincei, il premier Draghi, oltre che ad esaminare la situazione politica ed economica, ancora una volta ha tenuto a rimarcare l’impegno e l’attenzione con la quel il governo monitora ininterottamente la situazione Covid.
“A più di un anno dall’esplosione della crisi sanitaria, possiamo finalmente pensare al futuro con maggiore fiducia – aggiunge il presidente del Consiglio – La campagna di vaccinazione procede spedita, in Italia e in Europa. Dopo mesi di isolamento e lontananza, abbiamo ripreso gran parte delle nostre interazioni sociali. L’economia e l’istruzione sono ripartite. Dobbiamo però essere realistici. La pandemia non è finita. Anche quando lo sarà, avremo a lungo a che fare con le sue conseguenze“.
Quindi il capo del governo è tornato a riassumere le vicissitudini passate dal Paese, e di quanto stato fatto per uscirne: ”La crisi economica iniziata lo scorso anno non ha precedenti nella storia recente. Si è trattato di una recessione causata in gran parte da decisioni prese consapevolmente dai governi. Per prevenire una diffusione catastrofica del virus abbiamo dovuto imporre restrizioni che hanno portato alla chiusura di molti settori dell’economia. Non avevamo alternative. La tutela della salute e la protezione dell’economia non erano obiettivi tra loro in conflitto. L’alta circolazione del virus e il rischio del collasso del sistema ospedaliero rendevano impensabile la ripartenza di consumi e investimenti. La politica sanitaria doveva avere la priorità”.
Quindi, spiega ancora il capo del governo, “A quel punto la sola scelta possibile era tra una recessione e una depressione. Potevamo fare in modo che il maggior numero possibile di aziende superasse la fase di restrizioni e rimanesse sul mercato, sopportando così una recessione severa, ma temporanea. Oppure avremmo potuto non farlo, come alcuni sostenevano all’inizio della pandemia, non avendone ancora compreso la gravità. In quel caso, l’improvvisa frenata di consumi e investimenti avrebbe causato un’ondata di fallimenti e una depressione profonda. Avremmo avuto la chiusura di intere filiere produttive, con conseguenze disastrose per il futuro non solo dell’economia, ma dell’intero Paese. Il costo della scelta di avere una recessione invece di una depressione è stato il debito“.
Dunque tiene ad avvertire, “E’ molto probabile che, per diverse ragioni, questa fase di crescita del debito, pubblico e privato, non sia ancora terminata”. E, ad esempio, cita “l’aumento del debito di questi mesi è stato deliberato e soprattutto auspicabile. La pandemia è un disastro naturale. Molte imprese che hanno dovuto fermarsi, non lo hanno fatto per colpa loro, ma perché glielo ha imposto il governo. Avevamo noi, come collettività, un interesse a mantenere intatta la loro capacità produttiva e a preservare i loro posti di lavoro. L’unico modo per tenere le aziende sul mercato era dare loro fondi per compensare almeno in parte la perdita di fatturato e aiutarle a preservare i posti di lavoro. Lo abbiamo fatto tramite sussidi e garanzie sui prestiti bancari“.
Del resto, spiega ancora il premier, ”Dall’inizio della crisi abbiamo esteso alle imprese garanzie per 208 miliardi di euro e sostegni per quasi 100 miliardi. I sussidi hanno comportato un aumento del debito pubblico. I prestiti bancari garantiti hanno comportato un aumento del debito privato. L’aumento nel debito totale rispetto al 2019 è una misura molto significativa del costo economico di questa pandemia, senza contare l’impatto sulle diseguaglianze. Alla fine di quest’anno, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo in Europa sarà cresciuto di circa 15 punti percentuali rispetto alla fine del 2019. In Italia, secondo le stime della Commissione Europea, il debito pubblico aumenterà dal 135% del Pil, al 160%. Si tratta di un incremento maggiore rispetto a quello della Grande Crisi Finanziaria e a questo si è anche aggiunto un aumento consistente del debito privato“.
Ed in tal senso, commenta Draghi, le garanzie sui prestiti bancari siano “state una condizione necessaria perché gli istituti di credito dessero liquidità a tutte le aziende che ne avevano bisogno, rapidamente e a un costo ragionevole. Tuttavia, in quella fase non è stato possibile né per i governi né per le banche distinguere in maniera precisa tra quelle aziende che sarebbero state in grado di sopravvivere dopo la pandemia, e quelle che non ce l’avrebbero fatta. Farlo sarebbe stato probabilmente impossibile: non sapevamo, e non sappiamo ancora, quanto la crisi sanitaria avrebbe trasformato i nostri comportamenti e i nostri consumi. È dunque inevitabile che una parte di questo debito implicito si cristallizzi, e vada poi a incrementare il debito pubblico“.
Una politica di bilancio espansiva, l’ex presidente della Bce Draghi sottolinea l’urgenza di “aiutare la crescita. L’economia italiana ha operato al di sotto del suo potenziale per gran parte degli ultimi dieci anni. C’è dunque molto spazio per utilizzare politiche di bilancio espansive prima di creare pressioni inflazionistiche. Lo abbiamo già fatto in questi due anni: nel 2020, il deficit italiano ha toccato il 9,5% del Pil, e quest’anno, secondo la Commissione, raggiungeremo l’11,7%. Le previsioni attuali della Commissione indicano un aumento del Più quest’anno in Italia e nell’Ue del 4,2%. Credo che queste stime verranno riviste al rialzo, anche in maniera significativa. La fiducia di consumatori e imprenditori sta tornando“.
Altro tema ‘caldo’: “il reinserimento dei lavoratori dopo i traumi della crisi non è immediato. Il governo continua a sostenerli, come ha fatto in questi due anni. La Banca Centrale Europea ha stimato che in assenza del sostegno pubblico, le famiglie nei Paesi della zona euro avrebbero perso, in media, quasi un quarto del loro reddito da lavoro. Grazie all’intervento statale, questa perdita è stata del 7%. La ripresa che c’è, con il paese che sta ripartendo, non è sufficiente per riparare i danni causati dalla crisi sanitaria. Dobbiamo raggiungere tassi di crescita più elevati e sostenibili che non nel recente passato, per aiutare non solo chi non aveva un lavoro prima della pandemia, ma anche chi lo ha perso in questi mesi e chi potrebbe perderlo nei prossimi anni”.
“Le restrizioni di questi mesi – commenta – hanno cambiato le nostre abitudini di consumo e i nostri modelli produttivi. La digitalizzazione delle imprese in Europa, e in particolare delle piccole aziende, è avvenuta l’anno scorso con una rapidità molto maggiore – alcuni dicono addirittura sette volte – rispetto agli anni precedenti. È una buona notizia, che però ci impone di pensare a chi subirà le conseguenze negative di queste trasformazioni. In particolare i lavoratori con competenze più basse, i cui impieghi sono particolarmente a rischio nell’era della digitalizzazione. Intendiamo mettere in campo politiche attive del lavoro che permettano a chi non ha un’occupazione di acquisire le conoscenze necessarie per le professioni del futuro“.
Ecco perché, insiste il premier, “dobbiamo crescere di più anche per contenere l’aumento del debito. Se portiamo il tasso di crescita strutturale dell’economia oltre quello che avevamo prima della crisi sanitaria, saremo in grado di aumentare le entrate fiscali abbastanza da bilanciare l’aumento del debito che abbiamo emesso durante la pandemia. Potremo inoltre creare domanda aggiuntiva per le aziende, riducendo il rischio di default e dunque il costo dei programmi di garanzie statali sui debiti d’impresa. Sono obiettivi non solo auspicabili, ma anche raggiungibili”. Ma non solo, ”A livello europeo, dobbiamo ragionare su come permettere a tutti gli Stati membri di emettere debito sicuro per stabilizzare le economie in caso di recessione. La discussione sulla riforma del Patto di Stabilità, per ora sospeso fino alla fine del 2022, è l’occasione ideale per farlo”.
Infine, ha concluso Draghi, ”Per l’Italia, questo è un momento favorevole. Le certezze fornite dall’Europa e dalle scelte del governo, la capacità di superare alcune di quelle che erano considerate barriere identitarie, l’abbondanza di mezzi finanziari pubblici e privati sono circostanze eccezionali per le imprese e le famiglie che investiranno capitali e risparmi in tecnologia, formazione, modernizzazione. Ma è anche il momento favorevole per coniugare efficienza con equità, crescita con sostenibilità, tecnologia con occupazione. È un momento in cui torna a prevalere il gusto del futuro. Viviamolo appieno, con determinazione e con solidarietà” conclude Draghi.
Max