(Adnkronos) – E’ un Mario Draghi ‘mattatore’, che ne ha per tutti. Innanzitutto per Matteo Salvini e Giuseppe Conte, seppur il premier tenti di volare alto e restare fuori da una campagna elettorale in cui continuano a volare stracci. Non si sottrae alle domande, ricorre all’ironia -“sono calato dall’alto, mi hanno catapultato”- ma, soprattutto, si toglie ogni sassolino dalla scarpa. E ribadisce forte e chiaro a chi mostra o fa finta di non intendere che a Palazzo Chigi lui non resterà: “no”, la sua risposta dritta, secca, a chi gli domanda semmai ci sarà un bis.
Prima di raggiungere le Marche piegate dall’ondata di maltempo con un drammatico bilancio di morti e feriti destinato a salire, il premier illustra il nuovo decreto aiuti varato ancora una volta per fronteggiare inflazione e rincari delle bollette in quella che potrebbe essere una delle sue ultime conferenze stampa: 14 miliardi che si aggiungono ai 50 già elargiti con i precedenti provvedimenti. Calcolatrice alla mano, si tratta dell’equivalente “del 3.5% del Pil” in aiuti e sostegni, il che “ci pone tra i paesi che hanno speso di più in Europa”, rivendica ricordando che lo sforzo del governo ha un valore aggiunto: è stato fatto senza ricorrere allo scostamento di bilancio, chiesto a gran voce dai partiti e diventato terreno di scontro in campagna elettorale.
Ma le parole che i cronisti attendono dal presidente del Consiglio uscente sono soprattutto quelle sull’operazione di finanziamento che Mosca avrebbe portato avanti con diversi partiti e leader politici europei. Draghi lo sa bene, risponde alla domanda sulla telefonata con il segretario di Stato statunitense Antony Blinken sbirciando appunti, ma poi ci mette del suo, quando dice con forza, il sorriso tagliente sulle labbra, che l’Italia è una democrazia solida che nulla ha da temere. Il premier conferma innanzitutto “l’assenza di forze politiche italiane nella lista di destinatari di finanziamenti russi oggetto dei lanci giornalistici di questi giorni”. Parola di Blinken e dell’intelligence Usa, riporta.
“La democrazia italiana è forte, non è che si fa abbattere da nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati. Dobbiamo essere fiduciosi nella nostra democrazia. Non bisogna avere timore di qualunque voce”. Eppure Draghi riconosce che “negli ultimi venti anni il governo russo, e questo risulta da amplissime ricostruzioni internazionali, ha effettuato una sistematica opera di corruzione nel settore degli affari, della stampa, della politica, in tanti settori, in molti Paesi europei e negli Stati Uniti. Queste sono cose note, non c’è niente di cui stupirsi”.
Seppur partiti e leader siano estranei alla vicenda dei fondi da Mosca, l’ex numero uno della Bce, incalzato dai cronisti, riserva una stoccata al leader della Lega, pur non citandolo. Non l’unica tra l’altro, perché anche sullo scostamento di bilancio e sul mancato voto del Carroccio alla delega fiscale -“non ha mantenuto la parola data”- certo non le manda a dire. Ma è su Mosca la vera stilettata. “C’è chi parla di nascosto con i russi, chi vuole togliere le sanzioni. C’è pure lui” in campagna elettorale, “ma la maggioranza degli italiani non lo fa e non lo vuole fare. Io guardo alla maggioranza e al governo che ha avuto l’onore di presiedere”, l’affondo, che arriva oltretutto nel giorno in cui la Lega in Cdm vota contro il decreto legislativo che prevede la mappatura delle concessioni demaniali – tra i pilastri della riforma sulla concorrenza-, dunque anche delle spiagge.
Ma Draghi sembra averne anche per Conte. “Nei rapporti internazionali – dice infatti parlando del conflitto in Ucraina – occorre essere trasparenti, ci vuole coerenza nelle posizioni internazionali, non capovolgimenti o giravolte”. “Non si può – scandisce – votare a favore dell’invio di armi all’Ucraina e poi dire che non si è d’accordo; o ancora peggio inorgoglirsi dell’avanzata ucraina dopo che si è contro l’invio delle armi: si voleva che si difendesse a mani nude?”, chiede e sembra rivolgersi a chi sul no al riarmo ha costruito le battaglie politiche e la narrazione degli ultimi mesi.
Sui rapporti con Giorgia Meloni, Draghi bacchetta anche i giornalisti: “continuate a ricamare”, taglia corto prima di chiudere la conferenza stampa. Ma anche sulla leader di Fdi -data dai sondaggi ormai ad un passo da Palazzo Chigi- Draghi non nasconde il suo punto di vista critico. E lo fa quando gli viene chiesto della stroncatura del Parlamento europeo su Viktor Orban e di potenziali danni per il nostro paese con un futuro governo di centrodestra alleato del leader ungherese.
“Noi abbiamo una certa visione d’Europa – scandisce – noi difendiamo lo stato di diritto assieme ai nostri alleati, che sono Francia, Germania…. Cosa farà il futuro governo non lo so, ma mi son chiesto ‘com’è che si scelgono i propri partner?’. Sulla base di una certa comunanza ideologica certo, ma un’altra considerazione che andrebbe fatta è quella di scegliersi partner che consentano di difendere gli interessi degli italiani. Quali sono i partner che mi aiutano a proteggere gli interessi degli italiani? Quali sono questi partner? Ecco, datevi delle risposte voi”.
Anche sul Pnrr, che Fdi e Lega chiedono di aggiornare alla luce delle nuove emergenze, Draghi è netto: “E’ stato quasi tutto bandito, c’è poco da rivedere”. Il messaggio che il premier consegna a chi arriverà dopo di lui è di “continuare con determinazione” nell’attuazione del “canale più grande che abbiamo di investimenti pubblici”.
Intanto promuove a pieni voti i suoi ministri: “il governo ha lavorato bene perché poteva contare su dei bravissimi ministri, vedrei bene la conferma di tutti loro” perché “lavoreranno e lavorerebbero altrettanto bene” in qualsiasi esecutivo. Tutti tranne lui, il primus inter pares, che a Palazzo Chigi non è affatto intenzionato a restare. Lo ribadisce alla vigilia del voto negli States, quando ormai la clessidra del tempo che lo ha visto a capo del governo ha quasi terminato la sua corsa. Agli italiani raccomanda di andare a votare, “è la cosa più importante di tutte” prima che cali il sipario.