Sempre lucido rispetto agli accadimenti, e fortemente radicato alle sue convinzioni, che gli sono costate lo stipendio e la sospensione dall’Ordine dei medici, diversamente da come molti suoi detrattori sperano, Mariano Amici non ha ‘alzato la bandiera bianca’ ne, tantomeno, è intenzionato a mollare la sua personale battaglia contro un ‘sistema sanitario autoritario’, che ha affidato al solo vaccino (per altro non supportato da nessuna letteratura sui possibili effetti a medio lungo termine), il ‘rimedio’ per combattere il coronavirus.
La posizione di questo ‘vulcanico’ medico di Ardea è ormai nota: nessuna contrarietà alla vaccinazione (“Ne ho praticate milioni nel corso della mia lunghissima carriera”, tiene infatti a rimarcare), ma in questo caso, ribatte, ci troviamo davanti ad un ‘farmaco’, per altro ancora troppo ‘giovane’ per essere certi della sua totale sicurezza. Diversamente, Amici sostiene che il Covid è invece curabile, come provato da lui stesso, assistendo numerosi casi di contagio fra i suoi pazienti. Prima dell’avvento del ‘Super green pass’, sotto lo slogan ‘Continuiamo a far maturare le coscienze’, e puntualmente sostenuto da folle applaudenti, il medico ha girato in lungo e largo il Paese promuovendo le motivazioni di questa sua personale ‘crociata’ – a suo dire – condotta ‘secondo scienza e coscienza’.
Così, onde rassicurare la temporanea ‘uscita di scena’, attraverso il suo omonimo blog (marianoamici.it), il medico ‘rilancia’ annunciando che “Presto pubblicherò un libro molto interessante ed istruttivo dal titolo: ‘Covid: verità e libertà negate’”, quindi aggiunge Amici, “Vi anticipo la PREMESSA”…
“‘Dottore, ma chi te lo fa fare?’
Me lo sento ripetere ormai ogni giorno: dagli amici e dai pazienti che incontro ad Ardea e in quel territorio dove vivo e lavoro da anni; dai tanti sconosciuti che mi chiedono una stretta di mano nelle piazze delle manifestazioni cui partecipo in giro per l’Italia e, ovviamente, dalla mia famiglia che da quasi due anni vive neppure troppo indirettamente le conseguenze di questa dolorosa battaglia per la verità scientifica.
‘Chi te lo fa fare?’, mi ha chiesto con gli occhi interroganti e sorriso complice sotto la mascherina anche l’agente in divisa che, l’altro giorno, tentava di respingere le incursioni sempre più aggressive e maleducate di una delle tante troupe televisive che, da mesi ormai, mi pedinano ad ogni evento pubblico o direttamente sotto il mio studio medico nella speranza di cogliere un passo falso, una dichiarazione dal sén fuggita o un qualunque atteggiamento che possa giustificare l’ennesima gogna mediatica per delegittimare la mia persona e le mie idee.
Ebbene, anch’io qualche volta me lo chiedo ma ormai da tempo ho comunque rinunciato a cercare la risposta. In fin dei conti ho sempre anteposto l’interesse del prossimo (fossero i miei pazienti o, come in questo caso, la collettività) al mio tornaconto personale e credo che tutto dipenda da come ho subito interpretato l’adesione, ormai tanti anni fa, al Giuramento di Ippocrate che, come sapete, dovrebbe essere la pietra fondante dell’esercizio della professione medica: questo testo, scritto nell’antica Grecia da colui che è considerato il padre della medicina scientifica, non è mai stato per me soltanto una suggestiva enunciazione di principi teorici da declamare quando si è novelli medici ma un vero caposaldo etico e morale per chiunque consideri la medicina come una missione preziosa al servizio del prossimo.
Sarà che io ancora mi ritengo una persona fortunata, dopo oltre 40 anni di servizio, a poter fare quello che ho sempre voluto: il medico in mezzo alla gente. Non era affatto scontato per me, figlio in una famiglia di umili contadini che ha fatto immensi sacrifici per garantirmi la possibilità di studiare, riuscire a realizzare le mie aspirazioni di bambino e per questo non mi sono mai risparmiato: dopo la laurea in medicina e chirurgia conseguita ad appena 26 anni con 110 e lode, ho subito continuato ad approfondire gli studi conseguendo specializzazioni e master (scuola di sanità militare, chirurgia dell’apparato digerente, chirurgia d’urgenza e pronto soccorso, criochirurgia) alternando allo studio, le ore di servizio in corsia per imparare la professione sul campo, al fianco di docenti e professori affermati. Era come se, dentro di me, sentissi di non aver tempo da perdere: dopo aver fatto l’ufficiale medico nell’esercito, ho intrapreso la professione in ambito universitario e ospedaliero – tra cui 15 anni di pronto soccorso e chirurgia d’urgenza – ma al contempo anche quella di ‘dottore della mutua’, come si diceva all’epoca.
Per me è stato un periodo molto stimolante, sempre di corsa (ho trovato pure il tempo di coltivare la passione per la politica facendo per 13 anni – e quattro elezioni – il sindaco di Ardea), sicuramente molto faticoso ma, comunque, davvero soddisfacente perché ero felice e orgoglioso di poter aiutare il prossimo. Ed è il motivo per il quale, a un certo punto, ho preso una decisione drastica ma inevitabile: mentre la mia carriera in ambito universitario e ospedaliero stava iniziando a decollare, con inevitabili benefici sul piano economico e del prestigio sociale, mi rendevo conto che solo attraverso il contatto diretto e costante con i pazienti potevo assolvere davvero alla mia piccola, grande missione di impegno sociale.
Fu allora che decisi di dedicarmi esclusivamente alla medicina del territorio e di interpretarla in maniera totalizzante: andando a visitare i pazienti a casa e rispondendo alle loro telefonate ad ogni ora del giorno e della notte; cercando di approfondirne il più possibile la conoscenza per poter disporre anche di una adeguata anamnesi familiare che spesso è indispensabile per una corretta diagnosi; imparando ad ascoltare le loro parole e le loro emozioni, tanto quanto i sintomi del loro corpo. Per quarant’anni ho sempre fatto così, confortato dalle competenze acquisite e dall’esperienza maturata sul campo, ben consapevole che per fare il medico non basti prescrivere medicine e altrettanto convinto che non sia giusto arricchirsi sulla salute del prossimo. E ho continuato a svolgere in questo modo la professione medica anche durante la fase più drammatica della pandemia: anch’io, all’inizio, ero rimasto un po’ disorientato di fronte ad un virus che veniva descritto dalle autorità sanitarie e dai media come altamente letale e sconosciuto ma quando ho iniziato a trovarmelo davanti nella pratica clinica, curando cioè i miei assistiti, mi sono reso conto che era decisamente abbordabile e se ci si sforzava di fare i medici, anziché i burocrati chiamati a rispettare i rigidi protocolli ministeriali.
Ma possibile che il Covid, descritto alla stregua di una peste letale, poteva essere curato tranquillamente a casa, senza terrore, senza ricorrere al ricovero ospedaliero e a terapie costose – e per giunta molto invasive – ma semplicemente attingendo alle conoscenze di un umile medico del territorio? E perché, nonostante le procedure d’emergenza e la mobilitazione dell’intero apparato sanitario, la gente continuava a morire? E come mai, nonostante mi sia preoccupato di segnalare alle autorità sanitarie l’esito delle mie attività mediche, nessuno sembrava interessato ad ascoltarmi? E’ stato allora che ho sentito il bisogno di gridare (letteralmente) al mondo quello che avevo scoperto e confermato nella pratica quotidiana, guarendo dal Covid i miei assistiti senza ricoveri né decessi: ho iniziato a parlare nelle piazze, inizialmente davanti a poche decine di persone e oggi al cospetto di folle oceaniche, poi sono arrivate le prime interviste in internet, i post sui social e sul mio sito, le ospitate sulle emittenti televisive locali e infine, dopo il provocatorio esperimento del tampone al kiwi, gli inviti ai talk-show delle tv nazionali. Mi ero illuso di poter finalmente raccontare la mia esperienza davanti a chi avrebbe potuto prenderne atto e magari ricavare ispirazione per correggere approcci terapeutici che, nel frattempo, si stavano rivelando assolutamente inadeguati… E invece no: quando la stampa nazionale (ovvero i grandi giornali e le grandi emittenti televisive) mi hanno concesso il diritto di parola è sempre stato soltanto per attaccarmi, per prendersi gioco della mia persona e del mio operato, mai per consentirmi di argomentare le mie tesi e respingere le accuse.
Dalle prime interviste a ‘Piazza Pulita’, a ‘Non è l’Arena’ o a ‘Porta a Porta’ sono passati diversi mesi e, ormai, anche molti medici che in quei talk show mi davano impunemente del ciarlatano oggi sostengono in tv quanto io ripeto da sempre. Per forza! E’ l’andamento stesso della pandemia che ha progressivamente confermato tutte le affermazioni che a suo tempo avevo previsto obbligando i miei detrattori a rivedere le proprie posizioni. Ma mentre in questo lasso di tempo la mia credibilità è cresciuta esponenzialmente agli occhi dell’opinione pubblica con decine di migliaia di persone che ogni giorno seguono i miei post sui social o partecipano agli eventi ai quali aderisco, per i giornalisti dei media mainstream io resto sempre uno ‘stregone’ come una volta ebbe a definirmi da Corrado Formigli il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri senza mai riuscire, tuttavia, a confutare sul piano scientifico le mie affermazioni.
E allora, eccoci al motivo per cui ho deciso di scrivere questo libro: permettere a tutti voi, lettori, di accedere direttamente alle fonti scientifiche che mi hanno sempre ispirato o che hanno di volta in volta confermato le mie intuizioni di medico. Nessuna stregoneria, nessun negazionismo, ma solo solide basi scientifiche e un costante lavoro di ricerca di tutti gli studi più recenti che stanno progressivamente confermando che il Covid si può guarire perché non è affatto la peste del secolo ma, purtroppo, anche che i vaccini così tanto osannati non sono affatto efficaci e purtroppo neppure innocui. Questa è la verità che la storia ormai sta di giorno in giorno confermando, sempre nel silenzio omertoso dei presunti ‘scienziati’ che affollano gli studi televisivi con la complicità omertosa dei giornalisti che li invitano: io che prima di tutti ho cercato di rompere il muro della narrazione mainstream, sono stato prima aggredito verbalmente e poi perseguitato da quelle stesse istituzioni che ho sempre servito in 40 anni di professione con impegno, passione civica e onestà.
E allora, di nuovo, perché lo faccio? Perché sono convinto che sia giusto nei confronti di questo Paese e dei suoi cittadini. E perché ritengo che a chiedermelo sia lo stesso Giuramento di Ippocrate che, certo, invita noi medici a curare secondo scienza e coscienza i nostri pazienti ma soprattutto a non far loro del male (in latino: primum non nocere): e un paziente informato è un paziente consapevole e libero di scegliere da che parte stare.
Mariano Amici, medico”
Max