“C’è bisogno del diritto alla verità, anche in questa storia dell’amico Renato Cortese e sei suoi collaboratori della Squadra mobile, sono persone che subiscono questa ingiustizia e questa violenza. E di fronte a questa situazione noi non possiamo stare zitti, ma soprattutto non possiamo stare inerti. Non si può parlare di verità senza riflettere prima sulla verità che abita le nostre vite, le nostre speranze, i nostri bisogni di giustizia”. Lo ha detto don Luigi Ciotti alla fine del racconto teatrale “Cortese silenzio. Storia di un uomo delle istituzioni”, del regista e attore Vincenzo Pirrotta, andato in scena ieri sera al Teatro Massimo di Palermo. Il lavoro teatrale traccia la vita professionale di Renato Cortese, investigatore della Polizia e da ultimo Questore di Palermo, dipanandosi dai successi investigativi relativi alla cattura di pericolosi latitanti mafiosi come il capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, fino alle indagini su un noto latitante kazako. Quest’ultima vicenda, terminata con l’espulsione della moglie e della figlia del ricercato, è sfociata nell’apertura di un procedimento penale attualmente pendente presso la Corte di Appello di Perugia.
“Aveva ragione Leonardo Siascia quando diceva: “L’Italia è un paese senza verità e senza memoria”, lui si riferiva al terrorismo, storie rimaste a volte nel mistero -prosegue don Ciotti – Ci sono qui amici a cui sono state strappati i loro affetti, e Renato cortese ha impegnato buona parte della sua vita nella ricerca di quegli assassini”. E ricorda il “rispetto e il silenzio” di Renato Cortese che “si è chiuso in un silenzio rispettoso”. Un uomo “delle istituzioni, un uomo elegante”. Presenti alla rappresentazione teatrale magistrati, come l’ex Procuratore aggiunto di Palermo Leo Agueci, ma anche parenti di vittime di mafia, come Flora Agostino, sorella dell’agente di Polizia ucciso con la moglie da Cosa nostra e Alice Grassi, figlia di Libero Grassi, docenti universitari come Aldo Schiavello, diversi giornalisti e molti colleghi di Renato Cortese.