Che il ‘bazooka’ con il quale il governo ha annunciato che avrebbe affrontato la disastrosa crisi economica seguita all’emergenza sanitaria, si è capito subito che corrispondeva all’erogazione di un mare di miliardi. Ora, con un debito pubblico ‘stellare’, il Pil alla sbando ed il deficit ‘non pervenuto’, Europa a parte, dove prendere tutti questi soldi? Semplice: ricorrendo alle banche.
Ora, premesso che le banche fanno il loro mestiere, e che nel loro statuto non è contemplata la carità e la bontà d’animo (anzi), era evidente che tale impegno si sarebbe poi trasformato in migliaia di ‘prestiti’, con interessi annessi. Ma anche qui non sono tutte rose e fiori.
Proprio perché, come dicevamo, le banche non sono enti assistenziali, quando intervengono debbono per forza di cose avere il loro tornaconto. Quindi anche ‘prestando solo’ 25mila euro ad un’azienda già in difficoltà, chi garantisce che poi questa ce la faccia a superare la crisi e ad ottemperare ai doveri creditizi? E quanti prestiti debbo fare? Riusciranno a pagare tutti? Domande lecite che, come prevedibile, hanno portato diversi istituti di credito a non entrare nel ‘gioco’, preferendo non rischiare.
Un atteggiamento che però, per ovvi motivi, rischia in parte di vanificare i piani del governo in quanto, con meno banche disponibili, di conseguenza meno imprese potranno essere aiutate.
E stamane nel Question time al Senato, Stefano Patuanelli, ministro dello Sviluppo economico, non ha potuto fare altro che denunciare: “gli effetti del decreto liquidità scontano l’atteggiamento di alcuni istituti bancari che non collaborano come dovrebbero“.
Quindi ha aggiunto. “Però è anche vero che l’impianto normativo funziona e in molti stanno beneficiando del decreto”. Molti sì, aggiungiamo, ma non ‘tutti’ tra quelli che ne hanno bisogno, e alla lunga rappresenterà un gran problema.
Ci sarebbe poi da ascoltare che ne pensano i ‘beneficiari’ di tali prestiti: imprenditori in difficoltà, chiamati a saldare il debito in appena 6 anni…
Max