Tripoli, Bengasi e Tobruk: sono le tappe che il ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, ha visitato durante la missione in Libia di lunedì 2 agosto, la quinta dall’inizio del 2021. L’obiettivo – si legge sul sito della Farnesina – è “proseguire il dialogo con i principali interlocutori libici sul processo di stabilizzazione e transizione istituzionale a guida Onu, auspicare un rinnovato impegno di tutte le parti libiche per favorire progressi concreti verso alcuni obiettivi chiave, l’attuazione del cessate il fuoco […] e approfondire le numerose iniziative in corso per il rafforzamento ad ampio spettro del partenariato bilaterale”.
Parafrasando, si può dire che lo scopo della visita è stato quello di curare i nostri legittimi e variegati interessi nel Mediterraneo. Gestione dei flussi migratori, interessi economici ed energetici e prossimità geografica “hanno reso l’Italia un partner stabile della Libia”, scrive Mattia Giampaolo nel paper a cura di Ispi Le Relazioni tra Italia e Libia: interessi e rischi, rapporto che il governo Draghi intende mantenere e rinsaldare.
Ma a dieci anni dalla caduta del colonnello Muammar Gheddafi, ucciso il 20 ottobre del 2011, e della fine della prima guerra civile libica, la situazione nel Paese è molto diversa. Il perenne scontro tra centro e periferie, la seconda guerra civile e la scomparsa nella regione degli Stati Uniti hanno prodotto profonde trasformazioni e l’ingresso di diversi attori a Tripoli. Prima fra tutti la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, intervenuta attivamente (e militarmente) a sostegno del governo di accordo nazionale presieduto da Fayez al-Serraj. A muovere le strategie di Ankara sono aspirazioni neo-ottomane, interessi geostrategici e soprattutto gas (progetto EastMed).
Anche se la presenza e l’influenza turca restano forti sul campo, l’elezione a inizio febbraio del governo di unità nazionale con Abdul Hamid Ddeibah alla guida dovrebbe e potrebbe rinvigorire il ruolo dell’Unione europea. Il nuovo esecutivo ha il compito di traghettare il Paese verso le elezioni calendarizzate per il 23 dicembre, per i più ottimisti il banco di prova in grado di mettere la parola fine a un decennio di instabilità.
In tale contesto l’Italia, dopo anni di errori e immobilismo, può ancora giocare un ruolo primario nella risoluzione della crisi. La riapertura nei giorni scorsi della strada tra Misurata e Sirte e del consolato italiano in Libia orientale (dopo otto anni di chiusura) guardano in questa direzione. Ma potrà farlo solo nel quadro delle alleanze europee, rilanciando e non subendo, ora che sembra possibile farlo (grazie alla rinnovata convergenza con la Francia e alla fine dell’era Merkel), l’azione estera comunitaria dell’Ue.