Giorni tesi e difficili per leconomia italiana e soprattutto per lesecutivo gialloverde che si appresta a varare la manovra economica. A creare più nodi e polemiche è però la questione relativa alla nota di aggiornamento del Def, che rimane al momento aperta. Da una parte il ministro delleconomia Giovanni Tria vorrebbe mantenere gli accorsi presi in Europa e restare sulla soglia del 1,6% del rapporto deficit-pil, ma dallaltra M5S e Lega spingono per giungere al 2% nel 2019, convinti che non possa creare poi troppi problemi. Viene da sé che molti si siano chiesti cosa potrebbe succedere nel caso in cui si arrivasse davvero ad un 2,4-2,5%. Sarebbe un fattore di profonda instabilità per la nostra economia” ha spiegato il professor Marcello Messori, docente di Economia alla Luiss e direttore della Luiss School of European Political Economy.?Un valore che lo stesso docente aveva già anticipato nei mesi scorsi in unapprofondita analisi: “Il 2,4-2,5% è il valore che avevo calcolato se fossero stati attuati tutti i punti del programma, seppure in modo graduale e moderato, senza alcun intervento di riduzione di altre spese. Quindi senza far scattare le clausole di salvaguardia aumentando lIva, e quindi la pressione fiscale, e senza alcuna attenuazione del trasferimento degli 80 euro dei governi precedenti”.?Si tratta di una percentuale che, “prima ancora di contrastare con le regole europee – dice leconomista -, contrasta con gli obiettivi che almeno una delle componenti della coalizione ha sempre affermato: cioè, che la legge di bilancio avrebbe dovuto garantire uno sviluppo sostenibile ed equilibrato del nostro Paese, in grado di rilanciare gli investimenti e di attenuare le disuguaglianze in termini di distribuzione del reddito e della ricchezza, per ridurre le aree di povertà”.
Il 2,4%, prosegue il direttore della Luiss School of European Political Economy, “renderebbe difficilmente sostenibile in unottica di medio periodo il debito pubblico italiano. E questo determinerebbe un aumento degli spread e quindi dei tassi di interesse”; fatto che “indebolisce il settore bancario che detiene molti titoli del debito pubblico nei propri bilanci” perché, con tassi di interesse più alti, diminuisce il prezzo dei titoli stessi e le banche potrebbero avere problemi nel rispettare le regole patrimoniali internazionali, “trovandosi davanti allalternativa: o ricapitalizziamo o riduciamo il credito”. Ma, continua Messori, “visto che ricapitalizzare in questo momento è difficile, ci sarà una riduzione dei finanziamenti alleconomia reale. Quindi il denaro costerà più caro e ci sarà meno liquidità e questo creerà molta incertezza che si propagherà al settore reale e si ridurranno gli investimenti. Proprio lopposto di quanto si persegue a parole”.?”Lidea che aumentando la spesa pubblica si aumenti automaticamente il tasso di crescita delleconomia è vero se, e soltanto se, laumento della spesa pubblica è efficiente e non ha conseguenze sul resto delleconomia”. Secondo il professore, invece, “queste conseguenze ci sarebbero e sarebbero negative”. E rimarca: “Il ragionamento per il quale sia sufficiente aumentare la spesa pubblica per far crescere leconomia, purtroppo, non è così. Dipende molto dalla qualità della spesa”.
Inoltre, “anche se riuscissimo ad effettuare unallocazione efficiente della spesa pubblica, innanzitutto ci sarebbe uno sfasamento temporale perché, prima che produca effetti, ce ne sarebbe uno immediato di instabilità – afferma Messori -. Cè quindi un rischio serio che gli effetti negativi creino tali e tanti problemi da impedire la possibilità di aspettarsi effetti positivi nel medio periodo”.
E conclude: “E tutto molto più complicato di quanto non faccia presumere lautomatismo più spesa più crescita”. Ma “non è che dobbiamo non eccedere la soglia del 2% perché ce lo chiede lEuropa – sottolinea il docente -, non la dobbiamo infrangere perché non è compatibile con la stabilità della nostra economia. E rendere più instabile uneconomia significa punire le fasce più deboli della popolazione”.