(Adnkronos) –
L’Europa fatica a decidere. Vale per il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia per la guerra in Ucraina, sia guardando al gas sia guardando al petrolio, e vale per tutti quei passaggi in cui la convenienza di un singolo Stato membro prevale sulla convenienza dell’Unione. Oggi è l’Ungheria a rendere complicatissimo arrivare a un accordo sull’embargo per i prodotti petroliferi. Anche se si dovesse fare, sarebbe un accordo al ribasso. Perché la mediazione e il compromesso passano inevitabilmente per un annacquamento di misure che sono realmente efficaci solo se sono ‘piene’.
Parlando a radio France Info, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell si è detto ottimista, al punto da annunciare che si arriverà a un accordo sul prossimo pacchetto di sanzioni entro lunedì pomeriggio. Chi conosce bene le dinamiche che muovono i processi a Bruxelles, come il segretario del Pd Enrico Letta, esprime invece una valutazione che va oltre il risultato, molto probabilmente parziale, che potrebbe arrivare nelle prossime ore. “Sono molto preoccupato per oggi e per domani. C’è un problema di divisione tra i Paesi europei e un problema di come decidere. È sufficiente che un Paese e nemmeno il più grande, l’Ungheria, si metta di traverso e tutto si blocca”.
Letta si sofferma su un concetto che vale per la crisi dell’Ucraina ma che torna ogni volta che si pensa all’Europa come un soggetto politico che deve prendere decisioni negoziali. “Ogni dimostrazione di debolezza e di divisione da parte dell’Europa è la forza di Putin”. Vero, e non solo in questo caso. Ogni dimostrazione di debolezza e divisione dell’Europa pesa sulla sua capacità di incidere sugli equilibri geopolitici, di indirizzare la globalizzazione nella giusta direzione, di contrastare l’affermazione di sovranismi, populismi e nazionalismi che spingono nella direzione opposta alla logica comunitaria.
Se vale oggi per il petrolio e per le resistenze di Viktor Orbàn, vale anche per il gas e vale anche per tutti quei processi che di fatto si sono inceppati sulla strada di una vera integrazione. Il Recovery fund, e la reazione alla pandemia Covid, sono un’eccezione importante che, come tale, finisce per confermare la regola: l’Europa è in grado prendere decisioni importanti quando l’interesse è condiviso da tutti.
Quando invece prevalgono i singoli interessi, l’Europa si sgonfia e diventa un attore secondario. Lo stallo di queste settimane sul sesto pacchetto di sanzioni è dovuto all’Ungheria. Perché prevede un blocco quasi totale delle importazioni di petrolio dalla Russia e perché il paese guidato da Orbàn è quasi completamente dipendente dal petrolio russo. Da qui il veto che nessun espediente negoziale, neanche il più dispendioso per le casse della Ue e il più favorevole a Budapest, è riuscito a scalfire.
Sembra un perfetto caso di scuola. Fino a quando le principali decisioni di politica estera dell’Unione Europea richiederanno l’unanimità degli stati membri, sarà difficile non ottenere solo compromessi al ribasso. Perché mettere d’accordo gli interessi di 27 Paesi è praticamente impossibile. Lo stesso schema, va ricordato, può essere replicato descrivendo il negoziato, mai realmente partito, sull’ipotesi di embargo sul gas russo. Le resistenze, in questo caso, sono arrivare dalla Germania e dall’Italia, i Paesi più dipendenti da Mosca.
Certo, nel caso dell’Ungheria il fattore della convenienza si lega anche ai rapporti con la Russia e con il resto dell’Unione. I numeri, come sempre, aiutano. Le importazioni di petrolio russo sono il 65% del totale per l’Ungheria, mentre la media europea è poco sopra il 25%. Ci sono però Slovacchia, Finlandia, Lituania e Bulgaria che hanno una quota ancora più alta di importazioni di petrolio russo e non hanno posto alcun veto. Nel loro caso, l’interesse politico di proteggersi dalla Russia prevale su quello economico.
E questo è il punto nodale. Un’Europa capace di decidere dovrebbe essere in grado di individuare una priorità e perseguirla comunque, nonostante il costo da pagare sia inevitabilmente distribuito in maniera diversa tra gli Stati membri. Se si decide che l’embargo del gas è indispensabile, si deve trovare il modo di compensare gli sforzi chiesti a Germania e Italia; se l’embargo sul petrolio è indispensabile, si deve fare lo stesso con l’Ungheria. Ma se si vuole un’Europa che sia in grado di prendere le decisioni che servono, serve una profonda revisione dei processi decisionali. Altrimenti, ci troveremo sempre di fronte a compromessi al ribasso, a occasioni perse e a una politica globale imposta da altri.
(di Fabio Insenga)