CURE ONCOLOGICHE, LA ‘TOSSICITÀ FINANZIARIA’ AFFLIGGE 1 PAZIENTE SU 5, RAPPRESENTANDO UNO STRESS CHE INCIDE NEGATIVAMENTE SUL MALE STESSO, SPIEGA L’AIOM

“Per la prima volta anche in Italia si comincia a parlare di ’tossicità finanziaria’, la crisi economica individuale conseguente al cancro e alle sue cure. Fino a pochi anni fa era un problema confinato agli Stati Uniti, oggi interessa anche il nostro Paese. Un’analisi di 16 sperimentazioni condotte tra il 1999 e il 2015, a cui hanno partecipato 3.760 pazienti italiani con tumori del polmone, della mammella o dell’ovaio, ha evidenziato che il 22,5% presentava ’tossicità finanziaria’ e un rischio di morte, nei mesi e negli anni successivi, del 20% più alto rispetto ai malati senza problemi economici”. Carmine Pinto, presidente nazionale dell’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), commenta così un dato inquietante che purtroppo caratterizza – ed angoscia ulteriormente – i pazienti oncologici: le spese da sostenere nel corso delle terapie. Perché se è vero che ‘notoriamente’ il tumore incide, e non poco, sulle casse dello Stato (impegnato a produrre, testare e somministrare nuove terapie, cercando al contempo di far quadrare i conti), i più fortunati non hanno invece idea di quanto ‘pesa’ la malattia per le casse dei singoli malati. E un l’apposito studio dedicato rivela che uno malato su 5 rischia il tracollo economico, con l’ancor peggiore conseguenza che tali ansie si riflettono poi addirittura sullo stato della malattia stessa. Un situazione che intelligentemente gli oncologi italiani, ospiti del 53esimo congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco), hanno ribattezzato ’tossicità finanziaria’. Come accennavamo, lo studio è stato condotto dall’Istituto nazionale tumori ’Pascale’ di Napoli. E come sottolinea ancora Carmine Pinto, si tratta di dati “preoccupanti perché evidenziano come il contraccolpo finanziario dovuto alla malattia si riverberi in un peggioramento della prognosi”. In tutto questo però, spiega ancora lo studio addentrandosi nello specifico, a fronte dell’impressionante incidenza della malattia (che ‘viaggia’ alla media di 1.000 nuovi casi ogni giorno), i nostri medici riescono a fare ‘miracoli’. Basti pensare che, nel 2016, sono stati registrati  365.800 nuovi casi, tuttavia – fortunatamente – in proporzione ci si ammala di più ma si guarisce anche di più. Nello specifico, sconfigge la malattia il 63% delle donne e il 54% degli uomini. “Queste percentuali collocano l’Italia fra i primi Paesi in Europa per numero di guarigioni – sottolinea ancora il presidente nazionale dell’Aiom – perché il nostro sistema, basato sul principio di universalità, è efficiente grazie alle eccellenze ospedaliere. Ma è necessario far fronte a criticità urgenti che rischiano di compromettere la qualità dell’assistenza. Almeno il 15% degli esami, in particolare radiologici e strumentali, è improprio, vi sono terapie di non comprovata efficacia che costano ogni anno al sistema circa 350 milioni di euro e il peso delle visite di controllo è pari a 400 milioni – osserva l’oncologo – Uno degli obiettivi principali e non più procrastinabili del Patto è la realizzazione delle Reti oncologiche regionali, in Italia sono attive in un numero inferiore alle dita di una mano. E se alcune Regioni iniziano a muoversi, quelle del Sud presentano gravi ritardi”. Tuttavia, aggiunge Pinto, “le Reti potranno permettere ai pazienti l’accesso guidato, secondo percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (Pdta), alle migliori cure e aderenza alle linee guida, con conseguente riduzione delle aree di inappropriatezza e collegamento organico tra ospedale e territorio”. Certo, malgrado l’impegno e la comprovata professionalità dei nostri oncologi, non sono tutte rose e fiori, come precisa infatti  l’Aiom, nonostante gli sforzi la nostra spesa sanitaria pubblica non riesce a tenere la media che contraddistingue invece l’Europa occidentale. Ad esempio, nel 2015, la spesa italiana ha assorbito circa il 9% del Pil, esattamente come l’anno prima. E’ vero che la stessa cosa è accaduta negli stati dell’Europa occidentale, solo che in questo caso salta agli occhi la disparità di numeri: il rapporto tra la spesa sanitaria complessiva ed il Pil si è sì mantenuto stabile, soltanto che la percentuale ha raggiunto il 10,4%.

M.