A Cuba sta succedendo qualcosa che esperti e osservatori hanno definito storico: una “rivolta” popolare. Bisogna andare infatti a ritroso nel tempo di almeno 27 anni, poco dopo la dissoluzione dell’alleato sovietico, per ricordare le ultime proteste del Maleconazo contro il governo di Fidel Castro durante la crisi de los balseros (come venivano chiamate le piccole imbarcazioni di migranti cubani verso la Florida). Ora el comandante non c’è più e al suo posto si trova il meno carismatico Miguel Diaz-Canel, primo capo di Stato nato dopo la rivoluzione del 1959. Al grido “abbasso la dittatura” e “libertà”, i cittadini sono scesi nelle strade per manifestare contro la grave crisi economica, l’aumento dei contagi da coronavirus e la carenza di beni di prima necessità. L’assenza del turismo causata dalla pandemia, settore chiave per l’economia cubana, l’isolamento, l’inflazione e un disastroso raccolto di canna da zucchero hanno fatto il resto.
Tutto è partito domenica da San Antonio de Los Banos, 40 km a sud dell’Avana, dove nel 1986 il grande Gabriel Garcia Marquez fondò la Scuola internazionale di cinema e tv (Eictv). In breve tempo un inedito tam tam via social (l’isola caraibica si è aperta formalmente alla “rete” nel 2015) ha fatto da detonatore e la protesta si è estesa dall’Havava fino a Santiago, la città “ribelle” all’estremo ovest. #Notenemosmiedo – non abbiamo paura – l’hashtag utilizzato come freccia, “Patria o vita” lo slogan intonato a beffa del più noto “Patria o morte”.
Durissima e novecentesca la risposta governativa. Diaz-Canel ha staccato internet, disposto las avispas negras (la squadra d’assalto speciale delle Forza armate rivoluzionarie) e chiesto a “tutti i veri rivoluzionari di scendere in strada” e “combattere”. I media parlano di centinaia di arresti e di feriti tra i manifestanti. “Arresti anche di attivisti e giornalisti assolutamente inaccettabili, ha detto Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri. “Chiediamo alle autorità cubane di rilasciare immediatamente le persone arrestate per le loro opinioni politiche e per il loro lavoro giornalistico. Il loro posto non è in prigione”, ha chiosato.
Gli organi di stampa del regime puntano il dito contro “l’istigazione orchestrata” da Washington per “provocare e destabilizzare”. Solo pochi giorni fa Stati Uniti e Israele, unici due paesi al mondo (tre astenuti), hanno votato no all’Assemblea delle Nazioni Unite per porre fine all’embargo che dura dal 1961. Un cambio di rotta di Joe Biden rispetto a Barack Obama, predecessore democratico più “aperturista” nei confronti di Cuba. La Casa Bianca, però, nega ogni coinvolgimento. “Un errore per il regime cubano interpretare le proteste come il prodotto di qualcosa fatto dagli Stati Uniti”, ha commentato il segretario di Stato Antony Blinken, mentre Biden ha espresso “solidarietà” al popolo cubano in rivolta.
Sale la tensione anche tra Washington e Mosca, “partner chiave” dell’Avana. “No a interferenza esterne”, ha detto la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova. Sulla stessa lunghezza d’onda la Cina, che “sostiene Cuba contro la pandemia e nel miglioramento della vita delle persone e nella stabilità sociale”. Progressi impossibili per il “blocco Usa”, ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, che causa “carenza di medicinale ed energia”.
Mario Bonito