E’ quanto emerge da un’indagine dell’Adnkronos. La metà delle pmi interpellate ha rifiutato almeno una richiesta di denaro per concludere un affare nel corso dell’ultimo anno. Tra i piccoli imprenditori serpeggia una scarsa fiducia nella possibilità di ristabilire la legalità. Non solo i grandi eventi, con l’Expo 2015 in primo piano. Ma anche i piccoli appalti e le commesse minori. Le tangenti sono strumento sempre più diffuso anche nel tessuto delle piccole e medie imprese. E’ quanto emerge da un’indagine dell’Adnkronos: la metà delle pmi interpellate tramite diverse associazioni d’impresa, oltre mille distribuite su tutto il territorio nazionale, ha rifiutato almeno una richiesta di denaro per concludere un affare nel corso dell’ultimo anno; il 25%, una su quattro, ammette di aver pagato una tangente, sotto una qualsiasi forma; il 45% teme che possa essere costretta a farlo in futuro. I dati sono in crescita rispetto alla stessa rilevazione effettuata all’inizio di dicembre 2013. Un incremento che sembra legato alla fase di iniziale risveglio dell’attività, soprattutto quella edilizia, dopo la lunga crisi. L’equazione sembra essere chiara: più appalti, più tangenti.Nonostante le inchieste e il clamore dei casi di corruzione più gravi che emergono, serpeggia tra i piccoli imprenditori una scarsa fiducia nella possibilità di ristabilire la legalità. Un dato particolarmente significativo è infatti quello che riguarda le mancate denunce: delle imprese che hanno ricevuto richieste di denaro, solo il 10% si è rivolta alle forze dell’ordine.Chiara, dunque, la rassegnazione degli imprenditori di fronte a quello che viene percepito come un ’sistema consolidato’: 8 imprese su 10 pensano che le proprie possibilità di chiudere affari sia influenzata da tangenti pagate da altri.In sostanza, la necessità di oliare i meccanismi che possono assicurare un contratto viene considerata come una voce di costo impossibile da comprimere nel bilancio aziendale. Il 45% delle pmi che non esclude di dover ricorrere a una tangente nel prossimo futuro dichiara infatti che pur di incrementare il volume degli affari è disponibile a pagare un prezzo.Il quadro descritto trova riscontro nei numeri sul fenomeno corruzione a livello nazionale. Un recente rapporto Price&Waterhouse per l’Olaf, l’agenzia antifrode europea, quantifica in 120 mld di euro la somma sottratta ogni anno all’economia europea dalle tangenti. E l’Italia, dati confermati anche dalla Corte dei Conti, pesa per la metà del totale, con circa 60 miliardi.Lo stesso rapporto evidenzia che le possibilità che in Italia un appalto pubblico sia viziato dalla corruzione arrivano al 10% delle gare. Un dato che è tre volte quello francese e più di dieci volte quello olandese, sostanzialmente in linea con Paesi come la Romania e l’Ungheria, da poco entrati nell’Unione Europea.Il rapporto conferma che il problema principale per l’Italia sono le gare truccate, con vincitori già stabili a monte: riguardano il 63 per cento delle violazioni delle regole. Meno diffuso il conflitto di interesse, l’attribuzione a parenti o amici di lavori e commesse, che viene riscontrato nel 23 per cento dei casi.Del resto, anche uscendo dall’Europa e confrontandosi con il resto del mondo, il confronto resta impietoso. Transparency international, l’indice di percezione della corruzione, colloca l’Italia al 69° posto nel mondo. E anche per la Banca Mondiale il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa.