La variante indiana del coronavirus è più contagiosa di quella inglese. La causa sono due mutazioni che facilitano il virus nell”agganciare’ le cellule dell’ospite. Ma la buona notizia è che i vaccini disponibili funzionano anche contro ‘l’indiana’, in particolare dopo la seconda dose che, dunque, è utile non ritardare oltre le indicazioni dei trailer di approvazione. Sono le conclusioni di uno studio internazionale, realizzato però da un team di italiani – che lavorano in patria e all’estero – tra i quali Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia della facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma. Lo studio è al momento pubblicato in preprint su BioRxiv ma è in valutazione per la pubblicazione, prevista a breve, su un’importante rivista.
“Nella variate indiana il virus presenta, in particolare, due mutazione che la rendono più contagiosa di quella inglese. E non a caso è temuta in Gran Bretagna”, ribadisce all’Adnkronos Salute Ciccozzi ricordando che allo studio hanno partecipato illustri colleghi italiani come Davide Zella, co-direttore del Laboratorio di Biologia delle cellule tumorali all’Institute of Human Virology dell’Università del Maryland, “il laboratorio di Robert Gallo”, ricorda. E ancora: Roberto Cauda, dell’Istituto di Clinica delle malattie infettive Università Cattolica, Arnaldo Caruso, del Dipartimento di microbiologia e virologia degli Spedali Civili di Brescia, Antonio Cassone del Dipartimento di Genomica, Genetica e Biologia dell’Università di Siena; Francesco Broccolo, virologo dell’università Milano-Bicocca, Marta Giovanetti “mia ricercatrice che lavora in Brasile”, elenca.
“Le mutazioni della variante indiana – spiega ancora Ciccozzi – stabilizza di più la proteina Spike e rende più semplice ‘l’aggancio’ al recettore Ace2 perché, con questa mutazione, aumenta la carica elettrica positiva. E questo permette di agganciare più recettori rispetto alla variante inglese. In pratica, il ‘braccetto’ del virus responsabile dell”aggancio’ è, normalmente, mobile, oscilla. Quindi può agganciare oppure non farlo, perché l’oscillazione non lo rende preciso. Con questa mutazione il ‘braccetto’ si stabilizza, oscilla poco e quindi aggancia più facilmente”.
Per quanto riguarda i vaccini “non cambia nulla – continua Ciccozzi- come indica anche un lavoro dell’Istituto di sanità pubblica inglese, secondo il quale, a livello di copertura vaccinale, la variante indiana è coperta da Pfizer all’88%, da AstraZeneca al 63%. Questo, però, dopo la seconda dose. Dopo la prima dose per tutti i vaccini l’efficacia è del 33%” . La prima dose, insomma, sembra coprire meno i rischi da variante indiana ma dopo la seconda dose le percentuali di copertura si riallineano.
“Questo suggerisce che è preferibile, se possibile, non allungare i tempi della somministrazione della seconda dose rispetto a quanto stabilito dagli studi di registrazione dei vaccini, perché significherebbe avere una copertura bassa per più tempo tra la prima e la seconda. Speriamo che con l’arrivo di tanti vaccini previsti non ci sia bisogno di ricorrere a questa strategia”, conclude .