Un’alterazione nella qualità del gusto e dell’olfatto, che porta a percepire in maniera differente odori e sapori che solo pochi mesi prima erano consueti. E’ una ‘eredità’ che il Covid lascia a una percentuale di guariti che può arrivare quasi al 10%. E che, fortunatamente, è transitoria per la stragrande maggioranza delle persone, ma con durata estremamente variabile, si va da poche settimane a oltre un anno, se non si fanno terapie ad hoc. A tracciare il quadro del particolare disturbo che, a volte, accompagna chi ha superato l’infezione da coronavirus, è Giulio Cesare Passali, ricercatore di Otorinolaringoiatria della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma, in base a studi realizzati sui dati di circa 2.000 pazienti, osservati al Day Hospital post Covid del Policlinico romano.
Per quanto riguarda il legame tra disturbi dell’olfatto e Covid, sui pazienti osservati “c’è un’incidenza intorno al 45% di persone che dichiarano di averli avuti nella fase acuta dell’infezione. Di questi un 30% circa continua ad averli al momento del controllo, ovvero a una distanza dalla fase acuta che può andare dai 2 ai 6 mesi. Facendo i test sulla funzione olfattiva, però, i risultati sono in genere buoni, con dati normali o lievemente alterati. Accade che a volte i pazienti dichiarano di avere problemi di olfatto anche se non è proprio così. E possiamo dividerli in due gruppi diversi: una parte ha una problematica psicologica perché non si rende conto di sentire gli odori, fatica a riprendere la normale percezione dopo l’anosmia; in un’altra parte, invece, l’alterazione rimane ma in termini di qualità, non di quantità”.
Questo è dovuto al fatto che il virus, continua Passali, “non sembra colpire i neuroni olfattivi, ma le cellule di sostegno. Le cellule epiteliali in cui i neuroni sono inseriti nel nostro naso. E’ un po’ come se in una pianta venissero scoperte le radici. In pratica manca il terreno che dà nutrimento a questi neuroni che, per questo, non funzionano in modo consueto. Ed è questo a dare una sensazione olfattiva che non è normale: la molecola odorosa reagisce con i recettori odorosi con una reazione chimica, ma se si cambia il terreno in cui avviene la reazione cambia anche il risultato. Quel gusto alterato è legato a questo. Si viene a creare, in termini tecnici, una rinite atrofica – spiega – un’alterazione della mucosa nasale che incide sulla funzionalità olfattiva”.
Si tratta di una condizione, continua l’esperto, “reversibile quasi nella totalità dei casi, con una ripresa del 99,6%. Quello che varia molto sono i tempi. Ci sono pazienti che recuperano dopo poche settimane, alcune dopo qualche mese, altre dopo un anno e più”. Ciò che sembra essere assolutamente controindicato “sono le terapie cortisoniche nasali che allungano i tempi di recupero o che, addirittura, peggiorano la situazione olfattiva”. Sono invece utili “le terapie di reidratazione nasale, che si fa attraverso lavaggi di soluzione fisiologica e sostanze locali a base di acido ialuronico”, conclude Passali.