Non sono per nulla buone le notizie emerse al termine della riunione della cabina di regia chiamata a monitorare l’andamento settimane della curva epidemiologica nel Paese.
Purtroppo, rispetto alla scorsa settimana (quanto era 0,84), negli ultimi giorni l’indice Rt è risalito, arrivando al 0.95. La bozza del report dell’Iss e del ministero della Salute, nello specifico si riferisce alla prima settimana di febbraio, con successivo aggiornamento fino al 10 febbraio.
Il paradosso è che, mentre si nota un rallentamento dei nuovi casi, contemporaneamente aumentano le condizioni per una rapida ripresa della diffusione. Con l’Umbria e la provincia di Bolzano considerate a ‘rischio alto’, oggi sono ben 10 le regioni a rischio moderato, e 9 quelle a rischio basso.
Ecco differenti livelli di ‘rischio’ monitorati nelle Regioni e nelle Province Autonome
Come spiega la bozza: “Questa settimana si osserva una stabilità nel livello generale del rischio. Una Regione, l’Umbria, e una provincia autonoma, Bolzano, hanno un livello di rischio alto”. Quindi, rivolgendosi alle regioni definite a rischio moderato (una settimana fa erano 11), si legge che questa settimana sono diventate 10: “Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Marche, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Molise, provincia di Trento, e Toscana”. Nove invece quelle a rischio basso: “Calabria, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta e Veneto”.
‘Sotto osservazione’ infine le altreregioni (Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Trento e Toscana), considerate “ad alto rischio di progressione da moderato ad alto”.
L’Rt rimane purtroppo ancora alto in diverse aree del Paese
Per quello che riguarda invece l’Rt, comunicano dalla cabina di regia del monitoraggio, ”Sono sette le Regioni che hanno un Rt puntuale maggiore di 1 anche nel limite inferiore compatibile con uno scenario di tipo 2, in aumento rispetto alla settimana precedente: Umbria, Toscana, Puglia, le province autonome di Trento e Bolzano, la Liguria e l’Abruzzo“.
Benché ‘in linea’ con la Ue, la variante inglese compare in un 1 caso su 5
Tuttavia, ciò che maggiormente preoccupa gli esperti osservatori, è l’incombente coincidenza dettata dalla variante inglese che, attualmente in Italia riguarda un positivo a Covid-19 su 5.
“A livello nazionale – spiegano infatti dall’Iss – la stima di prevalenza della cosiddetta variante inglese del virus Sars-CoV-2 è pari a 17,8%“, secondo i risultati preliminari della ‘flash survey’ condotta da Istituto superiore di Sanità e ministero della Salute, insieme ai laboratori regionali”. Al momento però, rassicurano, ”Il risultato medio è in linea con quello di altre survey condotte in Europa”, ed inoltre “il range di prevalenze sembra suggerire una diversa maturità della sub-epidemia, determinata probabilmente da differenze nella data di introduzione della variante stessa. E’ presumibile pertanto che tali differenze vadano ad appiattirsi nel corso del tempo“.
L’incidenza del Covid non consente ancora il tracciamento dei contatti
Per quanto riguarda invece l’incidenza del Covid, ”è ancora lontana da livelli che permetterebbero il completo ripristino sull’intero territorio nazionale dell’identificazione dei casi e tracciamento dei loro contatti. Il servizio sanitario ha mostrato i primi segni di criticità quando il valore a livello nazionale ha superato i 50 casi per 100.000 in sette giorni e una criticità di tenuta dei servizi con incidenze elevate. Nella settimana di monitoraggio, due Regioni hanno una incidenza settimanale sotto i 50 casi per 100.000 abitanti (Sardegna e Valle d’Aosta) mentre l’incidenza supera la soglia di 250 casi per 100.000 abitanti in tre regioni/PA: Provincia Autonoma di Bolzano (770,12 per 100.000 abitanti) Provincia Autonoma di Trento (254,85 per 100.000 abitanti), ed Umbria (283,28 per 100.000 abitanti)”.
Negli ospedali la situazione rallenta, ma soltanto ‘per effetto della media’
Infine, in relazione alla situazione ospedaliera de Paese, il monitoraggio spiega che ”Si osserva una diminuzione nel numero di Regioni/Province autonome che hanno un tasso di occupazione in terapia intensiva e/o aree mediche sopra la soglia critica (5 Regioni/Pa). Il tasso di occupazione in terapia intensiva a livello nazionale continua ad essere alto, ma sotto la soglia critica (24%)“, si osserva ancora nel documento”. Dunque, riporta ancora la bozza, “Complessivamente il numero di persone ricoverate in terapia intensiva è in diminuzione da 2.214 (2 febbraio 2021) a 2.143 (9 febbraio 2021); il numero di persone ricoverate in aree mediche è anche in diminuzione, passando da 20.317 a 19.512, sempre dal 2 al 9 febbraio”.
Il rischio di un ‘sold out’ ospedaliero è sempre presente in alcune regioni
E’ bene infine considerare che “tale tendenza a livello nazionale sottende forti variazioni inter-regionali, con alcune regioni dove il numero assoluto dei ricoverati in area critica ed il relativo impatto, uniti all’incidenza, impongono comunque misure restrittive“. Quindi, in funzione di questa disparità di dati fra diverse aree, avverano dall’Iss, ”in alcuni contesti un nuovo rapido aumento nel numero di casi potrebbe rapidamente portare ad un sovraccarico dei servizi sanitari, in quanto si inserirebbe in un contesto in cui l’incidenza è ancora molto elevata e sono ancora numerose le persone ricoverate per Covid-19 in area critica”.
Max