“Al Policlinico di Milano abbiamo cominciato a chiudere letti Covid, siamo arrivati più o meno alla metà dei letti di semintensiva respiratoria. Questo significa che ci sono meno pazienti gravi ed è un buon segno”. A fare il punto con l’Adnkronos Salute è Francesco Blasi, professore di Malattie dell’apparato respiratorio all’università degli Studi di Milano e direttore della Pneumologia (ora Covid) del Policlinico del capoluogo lombardo. “Anche il numero delle terapie intensive è in lieve, costante riduzione, così come il numero dei malati che arrivano in pronto soccorso. Per rendere l’idea, oggi nel nostro pronto soccorso c’era un singolo paziente Covid, rispetto alle decine di qualche settimana fa”.
“Questi sono tutti segni positivi: arrivano meno malati in pronto soccorso, abbiamo meno malati da ventilare col casco e anche in terapia intensiva. La pressione sull’ospedale è nettamente inferiore, ma non siamo ancora in un quadro di risoluzione del problema. Abbiamo ancora 160 letti dedicati Covid in generale, compresa la parte della Mangiagalli. Questi posti ora sono circa la metà di quelli che avevamo aperto e andiamo dunque abbastanza bene. La speranza – sottolinea – è che questo trend continui. Siamo in attesa di vedere se ci sarà un effetto per la festa dell’Inter. Capisco, da interista, la voglia di festeggiare, ma serve cautela e nei prossimi giorni vedremo se ci sarà un impatto”.
“Nel frattempo, però, a parte quello che vediamo nel nostro ospedale, anche a livello milanese mi sembra che ci sia un minimo respiro. Come numeri non stiamo scendendo a rotta di collo, ma con calma. Però fa ben sperare. E questo maggior respiro ci ha permesso in via Sforza di riaprire 20 letti cardiorespiratori non Covid”, segno di un primo accesso di ritorno alla normalità. “In settimana l’idea sarebbe di aprire qualche letto in più di Chirurgia, perché su questo fronte si è sofferto dal punto di vista assistenziale”, spiega.
Si guarda all’estate con speranza, prosegue Blasi. “Speriamo in un’infezione meno frequente come l’anno scorso. Poi in Lombardia ora le vaccinazioni corrono ed è un punto fondamentale. Alcuni dei mei collaboratori vanno a vaccinare, ci sono primari che si danno da fare” con le iniezioni scudo, “c’è uno sforzo corale di tutti. Lavoriamo per i vaccini che sono l’arma più forte che abbiamo, insostituibile”.
Un primo segno dell’effetto delle vaccinazioni, spiega, “lo vediamo anche negli ospedali. Nel senso che l’età media dei pazienti si è un po’ abbassata e significa che la protezione dei più anziani sta funzionando. Vediamo quello che è successo nel Regno Unito: con la vaccinazione a spron battuto loro hanno visto una riduzione importante. Un collega in Scozia mi ha raccontato di aver visto cambiare la situazione in maniera radicale in un mese e mezzo o due. Anche lui ha riaperto l’attività non Covid e sicuramente il fatto che tanti si vaccinino in Lombardia e che ci sia un tasso di rifiuto bassissimo è importante”.
In attesa che l’impatto diventi sempre più visibile, lo specialista coglie i primi indizi di rasserenamento. “Gli ospedali hanno tempi di reazione più lenti rispetto ai numeri del contagio – ricorda Blasi – Quando un paziente viene ricoverato spesso resta un mese e prima di vedere risultati c’è una latenza. Per questo, il dato che ci incoraggia in particolare è la riduzione degli accessi in pronto soccorso. Sarà senz’altro anche la riduzione dell’età media che incide sulla necessità di ricovero, ma il quadro nel complesso è incoraggiante. Noi abbiamo svuotato un piano del Padiglione Sacco. Poi ci siamo un po’ fermati e adesso pensiamo che magari in settimana riusciremo a chiudere un altro piccolo reparto fino ad arrivare a maggiori chiusure nel breve termine. Stimiamo manchino 3-4 settimane prima di poter vedere un effetto importante sul nostro ospedale”.
Un ultimo accenno l’esperto lo riserva all’hub di terapia intensiva in Fiera di Milano. “Meno male che c’era, perché alla fine è arrivato ad avere 70 malati ricoverati contemporaneamente, cosa non da poco”. Anche questi numeri sono scesi agli attuali 55. E la sopravvivenza dei pazienti che sono passati da questa struttura è cresciuta nel tempo: ora quasi l’80% ce la fa.