La pandemia ha imposto stringenti limitazioni anche nel mondo dello sport. La necessità di tornare alla normalità, però, è molto forte. Gli atleti agonisti non professionisti, 4 milioni e 700mila secondo i dati del Coni aggiornati al 2017, se positivi a Covid-19 e poi guariti devono sottoporsi ad accertamenti diagnostici aggiuntivi, al fine di ottenere un’attestazione di ‘Ritorno all’attività’ (Return to play).
“Per tornare a poter fare gare ed allenamenti, il ministero della Salute, sulla base di un documento elaborato e proposto dalla Federazione medico sportiva italiana”, la Fmsi, “raccomanda agli atleti agonisti non professionisti che abbiamo contratto il virus di sottoporsi ad una serie di esami specifici. Tra i quali l’elettrocardiogramma a riposo e dopo sforzo con valutazione della saturimetria e l’ecocardiogramma, fino ad arrivare, per le forme più gravi della malattia, all’Holter Ecg e ad esami di diagnostica per immagini (Rx tradizionale e Tac polmonare). Ma in quanti abbiano eseguito questi test non lo sappiamo. Ad ottobre 2021, infatti, non c’è un’anagrafe certa degli atleti agonisti non professionisti che hanno ottenuto l’idoneità all’attività sportiva o l’attestazione di Return to play, anche perché alcuni non dichiarano di aver contratto l’infezione da SarS-CoV-2, di essere poi guariti o di essere stati positivi al virus, ma senza presentare alcun sintomo, pur di non fare i necessari accertamenti”. A lanciare l’allarme è Marco Scorcu, specialista in Medicina dello sport e vicepresidente della Fmsi.
“Non comunicare di aver contratto il virus, anche se guariti, rappresenta un rischio per la propria salute – avverte il medico, che è anche responsabile sanitario del Cagliari Calcio – Se non ci si sottopone a dovuti test, è bene sapere che l’infezione da Covid-19 può provocare conseguenze soprattutto a livello cardiaco come le miocarditi, anche gravi. Certamente la frequenza di ambienti sportivi nell’immediata risoluzione clinica della malattia in assenza di certezza di negatività al test Pcr può essere un pericolo anche per chi vive a stretto contatto con questi atleti. La Fmsi ritiene l’attestazione Return to play alla stregua del certificato di idoneità sportiva agonistica, ovvero un documento che tutela la salute dell’atleta e dello sportivo. Quindi ha finalità preventiva, soprattutto per quanto riguarda le complicanze da Covid-19”.
Mentre gli atleti “professionisti e gli olimpici”, spiega Scorcu, “sono sicuramente sottoposti ad un’anagrafe certa, la popolazione agonistica non professionista no. Potrebbe esserci una fuga dalla comunicazione amnestica del Covid per sfuggire agli accertamenti supplementari necessari per il Return to play. Inoltre, l’attestazione ha un costo per i maggiori di età, mentre per gli under 18 e i disabili di ogni età è in regime di Lea in alcune regioni. Però, è un dato di fatto che serve un’anagrafe della popolazione sportiva che va incontro alla certificazione di idoneità all’attività sportiva e anche all’attestazione di Ritorno all’attività”.
Il Return to play prevede una serie di esami per la popolazione sportiva che ha contratto Covid-19, in base alla classificazione clinica della malattia: dalle forme asintomatiche, lievi, passando per le moderate, le severe e le critiche. Tra gli accertamenti richiesti per le diverse forme: ecocardiogramma a riposo, test da sforzo massimale con valutazione della saturazione d’ossigeno, ecocardiogramma color-doppler, esame spirometrico, Ecg dinamico holter, esami emotochimici, diagnostica per immagini polmonare, diffusione alveolo-capillare e test cardiopolmonare. Esami che vanno eseguiti non prima che siano trascorsi 30 giorni dall’avvenuta guarigione da Sars-CoV-2. Ultimato l’iter di esami, il medico valutatore rilascerà il certificato di idoneità alla pratica dello sport agonistico in caso di primo rilascio/rinnovo periodico della visita medica o l’attestazione di Ritorno all’attività in caso di sopraggiunta infezione da Sars-CoV-2 con certificazione in corso di validità. Una volta acquisita l’idoneità o l’attestazione di Return to play, l’atleta potrà riprendere gradualmente ad allenarsi sotto l’attento controllo del responsabile sanitario della società sportiva.
L’iter per accedere alla documentazione è facile. “E’ preferibile fare il Return to play nella struttura che ha rilasciato il certificato di idoneità – precisa il vicepresidente Fmsi – soprattutto per una continuità della cartella clinica. Però tutte le strutture di Medicina dello sport possono rilasciare il certificato di Ritorno all’attività che in questo momento è configurato solo per chi pratica attività sportiva agonistica, per gli atleti professionisti e per gli olimpici”.
In Italia – secondo i dati Istat del 2020 – il 35% della popolazione pratica una qualche attività sportiva, anche in forma non continuativa. Di questi, 4,7 milioni sono atleti agonisti; poco meno del 30% svolge una qualche attività fisica, mentre un altro 35% fa vita sedentaria. Per praticare attività sportiva (agonistica e non) è necessario un accertamento dello stato di salute con relativo certificato di idoneità all’attività sportiva, purtroppo per alcuni considerato un fardello burocratico, anziché un valido strumento di screening, in particolare per la popolazione giovanile.
“Per ottenere la certificazione di idoneità all’attività sportiva agonistica – ricorda Scorcu – è indispensabile sottoporsi a visita medica, elettrocardiogramma a riposo, elettrocardiogramma dopo sforzo, spirometria, esame delle urine. Invece per coloro che praticano l’attività sportiva non agonistica, ovvero gli atleti tesserati a una società sportiva affiliata a una Federazione del Coni in età inferiore o superiore al range agonistico, ai sensi del Decreto ministeriale dell”82 sono obbligatori per legge soltanto visita medica e elettrocardiogramma almeno una volta nella vita; la Fmsi, tuttavia, di concerto con il Coni, ha stabilito che i propri medici tesserati effettuino l’Ecg contestualmente alla visita e senza aggravio di costi per l’atleta. La certificazione per la pratica dell’attività sportiva agonistica è in carico esclusivamente allo specialista in medicina dello sport. Invece, spetta al medico dello sport oppure al medico di medicina generale e al pediatra di libera scelta, limitatamente ai propri assistiti, o ancora ai medici della Fmsi fornire il certificato per poter praticare l’attività sportiva non agonistica”.
Purtroppo, “una parte minoritaria della popolazione ritiene che la visita medica sia solo un preludio ad una certificazione e quindi solamente un’attività di tipo medico-legale. La visita medico-sportiva è molto di più – puntualizza Scorcu – E’ una visita medica preventiva e l’unica attività di screening per i giovani, tant’è che in Italia, dopo ‘introduzione del protocollo di visita obbligatorio nel 1982, le morti improvvise da sport si sono ridotte del 98%, con un rapporto di 1/1.500.000 in Italia rispetto alla media mondiale di 1/100.000”.