“Monoclonali anti-Covid in terapia domiciliare? Il mio è un ‘ni’. Non perché non sarebbe possibile ma perché ci sono due problemi importanti: la selezione dei pazienti, che è abbastanza complessa. E la gestione di eventuali effetti avversi”. Lo ha spiegato all’Adnkronos Salute Antonella D’Arminio Monforte, direttore di Malattie infettive, Asst Santi Paolo e Carlo di Milano – uno dei reparti che somministra, su autorizzazione dell’Aifa, la cura – intervenendo sulla possibilità di utilizzare gli anticorpi monoclonali sul territorio, in coordinamento con l’ospedale, come potrebbe prevedere il nuovo protocollo ministeriale per le cure anti-Covid a domicilio che si attende a giorni.
Per la selezione dei pazienti, in particolare, “ci vuole un ‘occhio allenato’ – precisa l’infettivologa – perché la terapia può essere fatta solo a pazienti che non abbiano un’infezione troppo avanzata, che abbiano dei fattori di rischio per lo sviluppo di un’infezione più grave e che abbiano sintomi da meno di 10 giorni. Purtroppo i pazienti che ci vengono inviati dai medici di medicina generale e che per loro sono idonei, per noi non lo sono. Il grande rischio è la selezione del paziente”.
Oltre al problema della scelta, però, c’è anche il problema di eventuali rischi di choc anafilattico, che possono essere gestiti con meno facilità sul territorio. Questi farmaci si somministrano, infatti, “in vena, in circa un’ora, non è la stessa cosa di un farmaco orale o un intramuscolo. Il medico deve prevedere di rimanere due ore con il paziente, per ogni eventualità. Bisogna anche prevedere un’assistenza con possibilità di urgenze rianimatorie, anche se rare. Fino ad oggi nel nostro centro abbiamo somministrato oltre 30 terapie e abbiamo avuto solo un caso, lieve, di choc”.