Oggi l’agenzia di stampa AdnKronos, ha pubblicato in esclusiva una bellissima intervista a Papa Francesco, raccolta da Gian Marco Chiocci. Un lungo raccontare e raccontarsi quello di Bergoglio, che passa attraverso diversi temi, anche scottanti. Abbiamo riassunto alcuni passaggi, dai quali si rivela la grandissima inquietudine, di un ‘Pastore’ forte e deciso, ma anche straordinariamente ‘umano’, chiamato a riportare ordine proprio all’interno del suo gregge.
Dunque le critiche. Nessuno come Bergoglio, giunto sulla soglia di San Pietro circondato dall’alone di mistero che serpeggiava tra i fedeli circa la sua figura. In special modo, dopo essere stato preceduto da un Papa capace di ‘rivoluzionare’ l’Est dell’Europa (Wojtyla), e un altro (Ratzinger), determinato a riconsegnare alla Chiesa la ferrea regola in un ‘credo’ scevro da interessi di parte o, peggio, materiali.
Bergoglio in realtà non sapeva che scegliendo il nome di Francesco – in omaggio al poverello di Assisi – ne avrebbe poi ripercorso i passi, andando a predicare l’umiltà e la preghiera addirittura all’interno del suo Palazzo. Insomma un Pontefice anche duro, Bergoglio il quale, illuminato dal pragmatismo che permea i Gesuiti, ha sempre affrontato i problemi di petto, senza troppi complimenti. Un modo di fare, una tenacia che, spesso, lo ha però esposto anche a dure critiche. Tanto è che anche ‘tra i suoi’, il cardinal Ruini affermò che “criticare il Papa non significa essergli contro”.
“Non direi il vero, e farei torto alla sua intelligenza se le dicessi che le critiche ti lasciano bene – replica Francesco – A nessuno piacciono, specie quando sono schiaffi in faccia, quando fanno male se dette in malafede e con malignità. Con altrettanta convinzione però dico che le critiche possono essere costruttive, e allora io me le prendo tutte perché la critica porta a esaminarmi, a fare un esame di coscienza, a chiedermi se ho sbagliato, dove e perché ho sbagliato, se ho fatto bene, se ho fatto male, se potevo fare meglio. Il Papa le critiche le ascolta tutte – precisa ancora il Santo Padre – dopodiché esercita il discernimento, capire cosa è a fin di bene e cosa no. Discernimento che è la linea guida del mio percorso, su tutto, su tutti. E qui sarebbe importante una comunicazione onesta per raccontare la verità su quel che sta succedendo all’interno della Chiesa. E’ vero che poi se nella critica devo trovare ispirazione per fare meglio non posso certo lasciarmi trascinare da ogni cosa che di poco positivo scrivono sul Papa”.
Già, la questione morale: “male antico – afferma Bergoglio – che si tramanda e si trasforma nei secoli. Purtroppo è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a metter fine a questa degenerazione”.
Ben altra questione poi, se si allude a tutti quei porporati, dimostratisi ‘molto sensibili’ al denaro che, ricorda il Papa “i primi padri lo chiamavano lo sterco del diavolo e pure San Francesco“.
Inevitabile quindi non sconfinare prima in generale, e poi nello specifico, nella corruzione, uno dei mali che maggiormente sembrano affliggere i questi tempi anche il Vaticano: ”La Chiesa è e resta forte – tiene però a puntualizzare subito il Pontefice – ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli. All’inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: ‘Qui dentro c’è tutto – disse – ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso…tocca a te’. Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera“.
Del resto, prosegue il Pontefice, ”La Chiesa è stata sempre una casta meretrix, una peccatrice. Diciamo meglio: una parte di essa, perché la stragrande maggioranza va in senso contrario, persegue la giusta via. Però è innegabile che personaggi di vario tipo e spessore, ecclesiastici e tanti finti amici laici della Chiesa, hanno contribuito a dissipare il patrimonio mobile e immobile non del Vaticano ma dei fedeli. A me colpisce il Vangelo quando il Signore chiede di scegliere: o segui Dio o segui il denaro. Lo ha detto Gesù, non è possibile andare dietro a entrambi”.
Dunque che fare? Come intervenire? ”Non credo possa esserci una sola persona, dentro e fuori di qui, contraria ad estirpare la malapianta della corruzione – premette Bergoglio – Non ci sono strategie particolari, lo schema è banale, semplice, andare avanti e non fermarsi, bisogna fare passi piccoli ma concreti. Per arrivare ai risultati di oggi siamo partiti da una riunione di cinque anni fa su come aggiornare il sistema giudiziario, poi con le prime indagini ho dovuto rimuovere posizioni e resistenze, si è andati a scavare nelle finanze, abbiamo nuovi vertici allo Ior, insomma ho dovuto cambiare tante cose e tante molto presto cambieranno”.
Un compito non da poco che, visto anche il ‘valore’ degli interessi in questione, possono destare reazioni anche ‘pericolose’. Ma, in questo senso, il Papa ha paura? “E perché dovrei averne? – si domanda e domanda il Papa – Non temo conseguenze contro di me, non temo nulla, agisco in nome e per conto di nostro Signore. Sono un incosciente? Difetto di un po’ di prudenza? Non saprei cosa dire, mi guida l’istinto e lo Spirito Santo, mi guida l’amore del mio meraviglioso popolo che segue Gesù Cristo. E poi prego, prego tanto, tutti noi in questo momento difficile dobbiamo pregare tanto per quanto sta accadendo nel mondo”.
Riguardo poi, se questa dura battaglia, che sta caparbiamente portando avanti spesso anche contro tutto e tutti, riuscirà a vincerla o meno, Francesco si sente soltanto di replicare che “So che devo farla, sono stato chiamato a farla, poi sarà il Signore a dire se ho fatto bene o se ho fatto male. Sinceramente non sono molto ottimista, però confido in Dio e negli uomini fedeli a Dio. Ricordo di quand’ero a Cordoba, pregavo, confessavo, scrivevo, un giorno vado in biblioteca a cercare un libro e mi imbatto in sei-sette volumi sulla storia dei Papi, e anche tra i miei antichissimi predecessori – rivela – ho trovato qualche esempio non proprio edificante”.
Quel che traspare con certezza o, che per lo meno sembra, è che il Santo Padre stia quasi conducendo un’impegnativa battaglia in completa solitudine, eccetto che, come ripete, con l’aiuto del Signore. Ed infatti, precisa, ”Sarà quel che il Signore vuole che sia. Se sono solo? Ci ho pensato. E sono arrivato alla conclusione che esistono due livelli di solitudine: uno può dire, mi sento solo perché chi dovrebbe collaborare non collabora, perché chi si dovrebbe sporcare le mani per il prossimo non lo fa, perché non seguono la mia linea o cose così, e questa è una solitudine diciamo… funzionale. Poi c’è una solitudine sostanziale, che non provo, perché ho trovato tantissima gente che rischia per me, mette la sua vita in gioco, che si batte con convinzione perché sa che siamo nel giusto e che la strada intrapresa, pur fra mille ostacoli e naturali resistenze, è quella giusta. Ci sono stati esempi di malaffare, di tradimenti, che feriscono chi crede nella Chiesa. Queste persone non sono certo suore di clausura”.
Quindi Bergoglio si affida ancora una volta ai suoi ricordi per meglio spiegare quali sono i concetti che lo animano. In particolare, tornando agli anni della sua Buenos Aires, non può che raccontare dell’amata nonna: ”Lei, che certo non era una teologa, a noi bambini diceva sempre che il diavolo entra dalle tasche. Aveva ragione“.
Poi il Papa, per dare idea di come, anche fra i più umili, spesso la percezione della Chiesa non sia poi così lontana dalla realtà, racconta del giorno in cui morì Wojtyla, e lui si trovava in una grande bidonville della periferia di Buenos Aires. “Mi trovavo in un autobus, stavo andando in una favela, quando venni raggiunto dalla notizia che stava facendo il giro del mondo. Durante la messa, chiesi di pregare per il papa defunto. Finita la celebrazione mi si avvicinò una donna poverissima, chiese informazioni su come si eleggeva il papa, le raccontai della fumata bianca, dei cardinali, del conclave. Al che lei mi interruppe e disse: senta Bergoglio, quando diventerà papa per prima cosa si ricordi di comprare un cagnolino. Le risposi che difficilmente lo sarei diventato, e se nel caso perché avrei dovuto prendere il cane. “Perché ogni volta che si troverà a mangiare – fu la sua risposta – ne dia un pezzettino prima a lui, se lui sta bene allora continui pure a mangiare”. Dopo il sorriso precisa che “Era ovviamente una esagerazione ma – aggiunge però – dava conto dell’idea che il popolo di Dio, i poveri fra i più poveri al mondo, aveva della Casa del Signore attraversata da ferite profonde, lotte intestine e malversazioni”.
Tanto lavoro, tanta fatica, per poi sperare che chi venga dopo mantenga lo stesso impegno. Un pensiero, una speranza, che anima anche ‘l’uomo’: “Anche io ci penso a quel che sarà dopo di me, ne parlo io per primo. Recentemente, nello stesso giorno, mi sono sottoposto a degli esami medici di routine, i medici mi hanno detto che uno di questi si poteva fare ogni cinque anni oppure ogni anno, loro propendevano per il quinquennio io ho detto facciamolo anno per anno, non si sa mai!!!”
Altro tema apparentemente più ‘leggero’ – per chi vuol leggerlo in fatto di ‘rivalità’ – ma in realtà molto profondo, considerando il ruolo che Ratzinger ha esercitato all’interno della Chiesa cattolica che, molto probabilmente, senza la sua attenta ‘vigilanza’, oggi sarebbe sicuramente messa molto peggio: “Benedetto per me è un padre e un fratello – Tiene a rimarcare Francesco – per lettera gli scrivo filialmente e fraternamente. Lo vado a trovare spesso, e se recentemente lo vedo un po’ meno è solo perché non voglio affaticarlo. Il rapporto è davvero buono, molto buono, concordiamo sulle cose da fare. Benedetto è un uomo buono, è la santità fatta persona. Non ci sono problemi fra noi, poi ognuno può dire e pensare ciò che vuole”. E qui, ‘umanamente’, Bergoglio si toglie il sassolino dalle scarpe: “Sono riusciti perfino a raccontare che avevamo litigato, io e Benedetto, su quale tomba spettava a me e quale a lui…“.
Non ci sono troppi preamboli da fare, visto che la realtà è purtroppo sono gli occhi di tutti: il coronavirus. “Sono giorni di grande incertezza, prego tanto, sono tanto, tanto, tanto vicino a chi soffre, sono con la preghiera a chi aiuta le persone che soffrono per motivi di salute e non solo”, dice riferendosi a coloro che definì “eroi, i santi della porta accanto”, pochi giorni dopo la dolorosa esperienza dell’appuntamento globale del 27 marzo dove, solo, sotto la pioggia, attraversava in mondovisione una piazza San Pietro deserta.
Proprio in queste ore si è tornato a parlare di lockdown e, per forza di cose anche i luoghi di culto – chiese in primis – dovranno attenersi alle disposizioni. Questo può scoraggiare i fedeli? ”Non voglio entrare nelle decisioni politiche del governo italiano – replica subito il Santo Padre – ma le racconto una storia che mi ha dato un dispiacere: ho saputo di un vescovo che ha affermato che con questa pandemia la gente si è ‘disabituata’ – ha detto proprio così – ad andare in chiesa, che non tornerà più a inginocchiarsi davanti a un crocifisso o a ricevere il corpo di Cristo. Io dico che se questa ‘gente’, come la chiama il vescovo, veniva in chiesa per abitudine allora è meglio che resti pure a casa. E’ lo Spirito Santo che chiama la gente. Forse dopo questa dura prova, con queste nuove difficoltà, con la sofferenza che entra nelle case, i fedeli saranno più veri, più autentici, Mi creda, sarà così”.
Max