“I nostri dati suggeriscono che le scuole non sono sicure in assoluto” rispetto al rischio di Covid-19, “perché durante una pandemia nessun luogo lo è, ma la scuola è uno dei luoghi più sicuri”. Lo afferma Sara Gandini, responsabile dell’Unità Molecular and Pharmaco-epidemiology dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e docente di Statistica medica all’università Statale del capoluogo lombardo, che in collaborazione Gabriella Pravettoni, docente di Psicologia cognitiva e delle decisioni nello stesso ateneo e direttore di Psiconcologia allo Ieo, ha curato un progetto finanziato dalla Commissione Europea.
L’obiettivo era esaminare le evidenze scientifiche della trasmissione del coronavirus Sars-CoV-2 nel contesto scolastico, analizzando tutti gli studi pubblicati durante la pandemia a livello internazionale su dati di tracciamento, screening e indagini sierologiche nei bambini e ragazzi. “In assenza di prove evidenti dei vantaggi della chiusura delle scuole, il principio di precauzione a nostro parere indica di mantenere le scuole aperte per prevenire danni irreversibili ai bambini e adolescenti, alle donne e alla società intera”, sottolinea Gandini.
Le conclusioni della metanalisi, diffusa sulla piattaforma pre-print ‘MedRxiv’ – riferiscono dall’Ieo – riassumono i dati relativi a più di 250mila soggetti coinvolti in decine di studi internazionali, e mostrano una frequenza dello 0,31% di individui trovati positivi a scuola, considerando gli studi di screening, quindi test a tappeto. Sono state osservate frequenze maggiori di positivi con tracciamento (2,5%) rispetto agli screening, e questo suggerisce che testare a tappeto tutti i soggetti nelle scuole, indipendentemente dai sintomi, non è efficiente perché si fanno migliaia di test per trovarne una percentuale molto bassa. Non c’è per di più evidenza che aiuti a ridurre i cluster, una conclusione a cui è giunto anche il Comitato tecnico scientifico Italiano. Inoltre – sottolineano gli autori – i confronti per età confermano che i giovani trovati positivi avevano il 74% in meno di probabilità rispetto agli adulti di favorire la diffusione virale, e che i minori erano il 40% significativamente meno suscettibili al contagio rispetto agli adulti.
Nel complesso, secondo i ricercatori i dati dimostrano che la circolazione di Sars-CoV-2 nelle scuole è stata ragionevolmente controllata, anche grazie alle misure di prevenzione usate nei Paesi in cui le scuole sono rimaste aperte nonostante la seconda ondata del 2020.
Il progetto di Gandini e Pravettoni è finanziato dall’Ue nell’ambito del programma EuCcare, European Cohorts of Patients and Schools to Advance Response to Epidemics. Il grant è stato ottenuto come parte di un consorzio internazionale coordinato da EuResist Network, formato da 18 team di 10 Paesi (Belgio, Germania, Georgia, Israele, Italia, Lituania, Olanda, Portogallo, Svezia, Regno Unito), che analizzerà i dati di pazienti ospedalieri, personale sanitario vaccinato e scuole.
Tra gli obiettivi principali ci sono: valutare l’efficacia nel controllo dei cluster Covid-19 delle misure di sorveglianza, come il metodo Lolli (un test semplice e adatto ai bambini per valutare l’infezione Covid), rispetto ai protocolli di tracciamento dei contatti (nelle 2 settimane o solo 48 ore precedenti); confrontare le varie misure adottate in diverse scuole per affrontare l’emergere di nuove varianti; individuare le differenze nell’incidenza dei casi di Covid-19 considerando stato socio-economico e problemi di trasporti; identificare eventuali problemi psicologici associati all’uso delle misure di prevenzione; valutare la didattica a distanza, tenendo in considerazione lo stato socio-economico e la composizione del nucleo familiare.